Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Era il 1961 quando James Ivory e il suo compagno Ismail Merchant fondarono la loro casa di produzione per poter girare dei film in India da poter poi distribuire in tutto il mondo. Il primo film prodotto sarà The Householder, uno dei migliori in assoluto di Ivory che in questo suo esordio alla regia di un lungometraggio decide di raccontare le avventure sentimentali e lavorative di un impiegato di basso livello nella India degli anni Sessanta.
Il risultato è un’indagine allo stesso tempo drammatica e ironica della società indiana, dove classi sociali e il ruolo dell’uomo e della donna sono ben stabiliti senza nessuna possibilità di uscire dagli schemi. È un esordio per Ivory incentrato sul racconto della sofferenza del quotidiano, dell’impossibilità di poter uscire dalla rigidità imposta dal Mondo che ci circonda e dell’eterno conflitto personale tra accettazione del proprio status e frustrazione nei confronti di sé stessi e di quello che ci gira attorno. Il tutto, appunto, visto “dal basso”, ovvero attraverso il racconto delle vicissitudini di un giovane insegnante di basso rango.
Ivory ben presto cambierà direzione nel corso della sua carriera. Non certo per le tematiche esistenziali e nemmeno tanto per l’ossessione per la cultura indiana che farà comunque sfondo ad altre sue opere, anche se nella seconda metà della sua carriera i film saranno praticamente tutti ambientati in Europa (e qualcuno negli Stati Uniti).
Quello che cambia davvero sembra essere piuttosto l’ambientazione sociale, Ivory comincia a privilegiare sempre di più le storie di aristocratici e artisti, letterati e nobili. Spesso questi si ritrovano un po’ spaesati e un po’ ammaliati dalla stessa India (Bombay Talkie), oppure sono dei ricchi alle prese i piaceri della propria contemporaneità (Camera con vista, The Europeans, ecc.) o ancora umili protagonisti di classi sociali medio basse in qualche modo incantati dal fascino, alle volte perverso, del denaro e dei suoi privilegi (Quartet, Camera con vista, Quel che resta del giorno).
Malgrado la sua dichiarata omosessualità, questa tematica invece è affrontata di rado nel suo cinema, e in quei casi lo si è fatto con risultati davvero eccellenti (Maurice). La sessualità e l’erotismo invece sono sempre state una costante. Ed ecco allora che quello che avrebbe dovuto essere il suo ultimo film da regista sembra proprio una fusione di tutte quelle tematiche che hanno accompagnato il suo cinema. Infatti Chiamami col tuo nome affronta nello stesso tempo la tematica omosessuale, la pulsione sessuale dell’individuo, le sofferenze sentimentali della classe alta, il fascino tra culture diverse e la difficoltà nel contrastare i paletti imposti dalla società.
Chiamami col tuo nome sarà il film che porterà James Ivory a vincere il suo primo e unico Premio Oscar nel 2018 all’età di 89 anni dopo sessantanni di carriera, rendendolo il più vecchio vincitore di tale premio in assoluto (anche se in realtà ci sarebbe lo scenografo Robert F. Boyle premiato a 98 anni, però si tratta di un Oscar alla carriera e non per una nomination). In ogni caso, per una serie di problemi in sede di produzione, Ivory non sarà il regista di questo film, ne firmerà solo la sceneggiatura. Il regista sarà Luca Guadagnino, che all’inizio avrebbe dovuto co-dirigere con Ivory, che sarà capace di condurre quest’opera a tre candidature ai Golden Globe e quattro ai Premi Oscar.
Luca Guadagnino non è il primo regista candidato all’Oscar a girare un videoclip di musica italiana. Altri già passati per questa rubrica lo hanno persino vinto un Oscar o più di uno: Spike Lee (Oscar alla carriera 2016, miglior sceneggiatura originale 2019 per BlacKkKlansman), Roman Polanski (miglior regista 2003 per Il Pianista), Michelangelo Antonioni (Oscar alla carriera 1995).
Questa volta le abilità di un “regista da Oscar” vengono messe a servizio delle sorelle Paola e Chiara Iezzi. Al tempo due giovani ragazze che, dopo qualche anno di collaborazione come coriste per gli 883, facendo pure da comparse in alcuni loro videoclip (come quello de Gli anni) e partecipando a diverse performance live (cercando di sostituire l’insostituibile e mitico Mauro Repetto che aveva abbandonato il gruppo nel 1994), avevano vinto nella categoria “Nuove proposte” al Festival di Sanremo del 1997.
Dopo il successo del singolo Amici come prima e la pubblicazione di due album dalle sonorità pop-rock, avevano in mente qualcosa di diverso per il proseguo della propria carriera. Forse stufe di essere viste come le due ragazzine “acqua e sapone” dei primi anni o le “bambine” come le apostrofò il buon Mike Bongiorno in quella loro prima apparizione a Sanremo, volevano un deciso cambio di rotta. E così proprio colui che qualche anno dopo sarà il regista di Melissa P., verrà chiamato per firmare il primo videoclip della “svolta sexy” del duo milanese.
Ancora più incisivo sarà il videoclip della “svolta sexy in piscina”, ovvero quello fatto per le versioni inglese e spagnola del brano. I due video per il mercato estero, che hanno al 99% lo stesso montaggio e differenziano in pratica solo per piccolissimi dettagli nelle singole inquadrature, sono girati in una villa a Ibiza da Stefano Moro, che ha diretto diversi video del duo e in particolare il loro primo videoclip in assoluto Ci chiamano bambine del 1997.
Stefano Moro riesce così ad essere sia il colui che pone l’impronta alla prima fase del duo, ovvero un “rock da brave ragazze”, che colui che definisce per primo (assieme a Guadagnino) in immagini il look sensuale della seconda fase. Infatti, malgrado la prima impressione che avrebbero potuto dare nelle loro prime performance sanremesi, le due sorelle inizialmente hanno uno stile abbastanza marcato dalle sonorità rock. Non un caso allora, seppur possa far un po’ ridere, che le due hanno più volte dichiarato che quella prima esibizione a Sanremo, con quel look composto da pantaloni in pelle nera e camicia salmone, era ispirata dal MTV Unplugged dei Nirvana, dove loro appunto erano seduti su degli sgabelli, creando un certo tipo di atmosfera. Da notare, inoltre, il grosso crocefisso che portano al collo le due in quell’esibizione, che potrebbe far credere col senno di poi in una provocazione che nessuno però al tempo ha potuto cogliere.
E così nell’anno 2000 arriva la svolta. Abbandonata per sempre sia l’immagine delle due “bambine carine” sia quella, forse più consona, di due giovani rocker un po’ pop. Si giocano tutto, e visto il successo la scommessa è decisamente vinta, sul voler diventare delle icone sexy e far della sensualità il centro della loro musica. Infatti cambia anche e decisamente il genere musicale, da ora in poi la loro produzione si concentrerà esclusivamente su una sorta di dance latineggiante. Riassumendo: sesso, divertirsi e ballare, spendere soldi in ville con piscina, parole in spagnolo qua e là. Il tutto condito da qualche bella coreografia e il successo, anche internazionale, arriverà presto. Per mantenerlo tale dovranno saper osare sempre di più, fino ad arrivare a mostrare i seni nel video di Kamasutra qualche anno più tardi.
Ed ecco allora, quasi in un paradosso esistenziale, ritornare a James Ivory. In questa ossessione per la sensualità e per la fascinazione verso il denaro e il suo mondo. Luca Guadagnino ha messo la prima pietra e Stefano Moro la seconda: da Sanremo a Ibiza, dai pantaloni di pelle a levarseli del tutto i pantaloni. Come se il percorso fosse obbligato: dal cantare al mostrare la solita retorica sessista, il successo sinonimo dell’ossessione per il denaro. Un unico traguardo da raggiungere, un buon regista per renderlo iconico.