Fotoromanzi – Il classico senza classicismo. Una rubrica di Alberto Beltrame
In questa rubrica, dedicata ai videoclip italiani del passato, avevamo già potuto parlare di alcune collaborazioni forse un po’ stravaganti ma molto suggestive tra cantanti del nostro Paese e alcuni artisti internazionali di un certo spessore. A cominciare da un artista italiano ma mondiale allo stesso tempo come Michelangelo Antonioni, che nel 1984 decide di dirigere il videoclip di una canzone di Gianna Nannini, dal quale prende il nome la nostra rubrica stessa. Abbiamo poi visto passare Vasco Rossi che collabora con Roman Polanski e persino Loredana Bertè simpatica compagna di avventure newyorkesi di Andy Warhol. Ed ecco allora, in questa intrigata storia di relazioni extra-confini geografici, musicali, razionali, venirci alla mente un caso emblematico di questa propensione internazionale all’italiana: Albano Carrisi che accusa Michael Jackson di plagio.
Era il 1992 quando Albano Carrisi pensò bene di denunciare quel signore americano per aver copiato, con Will You Be There, la sua canzone I cigni di Balaka, che chiudeva il disco Libertà del 1987. Il processo durò, visti i tempi italiani, un bel po’ di anni e costrinse addirittura Michael Jackson a venire in Italia per testimoniare nel 1997, per la felicità dei suoi fan che se lo trovarono a girare per Roma. Quando in sede di processo gli si fece notare che “entrambe le canzoni parlassero di un fiume”, Michael Jacskon pacatamente rispose al giudice di non sapere l’italiano. Il che non bastò, visto che fu condannato a pagare una multa di 4 milioni di lire (dei 5 miliardi chiesti all’inizio).
Ci fu però un colpo di scena un paio di anni dopo, infatti nel 1999 il Tribunale di Milano annullò la precedente sentenza dicendo che Michael Jackson non aveva plagiato Albano in quanto entrambi avevano “tratto ispirazione” dal un vecchio brano blues, ormai senza diritti di copyright, Bless You For Being An Angel degli Ink Spots (1939), a sua volta figlio di una melodia tradizionale dei Nativi Americani.
Quasi in contemporanea con questa folkloristica vicenda, un’altra causa italo-americana stava animando i tribunali. E, visto che qui si parla di videoclip, questa volta ad essere accusate di plagio sono proprio le immagini di un video. Nel 1998 Madonna venne accusata di aver plagiato con Ray Of Light un videoclip italiano di qualche anno prima, ovvero quello di Non è mai stato subito di Biagio Antonacci. La cosa davvero interessante è che a difendere Biagio Antonacci e il suo entourage c’era l’avvocato Giovanni Massaro, ovvero lo stesso che stava portando avanti la causa eroica di Albano contro Michael Jackson, una sorta di Carlo Taormina della musica pop.
Questa volta il buon avvocato Massaro si trovava nella difficile posizione di accusare un artista come Jonas Åkerlund che, giusto per riassumere brevemente, aveva nel 1998 già curato la regia di diversi video dei Roxette, Moby, Prodigy, Cardigans e Metallica, e che negli anni successivi sarà il regista pure di Jamiroquai, Smashing Pumpkins, U2, Lenny Kravitz, Robbie Williams, Lady Gaga e molti altri. E soprattutto, il nostro avvocato Don Chisciotte, stava difendo gli interessi del regista del brano di Antonacci, ovvero Stefano Salvati, che nello stesso 1998 aveva fatto uscire nelle sale il mitico Jolly Blu, il film degli 883.
Secondo quanto riportava la società Diamante Films, che realizzo il videoclip italiano, le sequenze girate con la tecnica del “time-lapse” in Ray Of Light erano chiaramente ispirate dal loro video. Nel dettaglio, le accuse erano fatte in particolar modo all’idea stessa del video di Madonna, ovvero sulla centralità del corpo della cantante che si muove e danza a ritmo normale mentre dietro di lei le immagini scorrono ad alta velocità.
Sotto accusa anche alcune sequenze specifiche che secondo l’avvocato Massaro sono un plagio palese, per esempio lo scorrere delle immagini del cielo d’apertura del video di Salvati che sarebbero state copiate. La vicenda si risolse esattamente allo stesso modo di come finì con la causa tra Albano e Michael Jackson: l’accusa non poteva essere sostenuta in quanto secondo i giudici entrambi avevano “tratto ispirazione” dal film di Godfrey Reggio Koyaanisqatsi che per primo aveva applicato la tecnica del “time-lapse” nel 1982.
Una storia che si ripete, una storia all’italiana. Viene in mente così un’altra vicenda, più lontana nel tempo eppure con alcuni aspetti in comune. Siamo negli anni Sessanta e si viveva la moda delle cover di canzoni straniere che venivano italianizzate per renderle accessibili al pubblico nostrano. Niente di male, in fondo erano sì copie però autorizzate. Eppure, nel 1962 Celentano incise Pregherò che tra gli autori vedeva lo stesso cantante e Ricky Gianco, senza quindi ricordare che il brano era una cover di Stand By Me di Ben E. King. Il tutto si scoprì qualche anno più tardi, quando Celentano cercò di pubblicare in modo sfacciato la canzone per il mercato straniero a suo nome e, scoperto, venne portato a sua volta in tribunale dove fu costretto a cedere la paternità della canzone.
E così, due canzoni che vedono “la centralità della preghiera”, si vedono a distanza di anni unite in questo strano mondo dove chi ruba per primo vorrebbe essere risarcito. L’insegnamento religioso all’italiana: la legge del più furbo, la legge del “dovresti farlo pure tu”, la legge del “perché non provarci”. Eppure, davanti alla legge dei tribunali, non sempre funziona…
Io prego, prego
Dovresti farlo anche tu
Prego, prego
Perché prego
Perché non provi anche tu