Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Bàrnabo non è andato a dormire.
Lentamente passa la notte.
Tra poco comincerà ad albeggiare,
si vedrà una nuova giornata.
La vita continua a passare,
ininterrotta su tutta la terra.
Dino Buzzati
Una danza. Corpi stremati, corpi sistemati in appositi vuoti. La danza di ciò che fu. Sogni finiti, sogni ritornati in vani sotterranei. Per la danza di quello che non è più. Terra bagnata, terra battuta dal battito di secoli finiti.
Il ballo di fine anno, quest’anno, lo fanno in un cimitero. Edgar Lee Masters che li guarda con ammirazione, Poe ride e prende qualche appunto. Si balla senza fiato in attesa di qualcosa. È un cimitero irrequieto, è il Père Lachaise di Morrison e Wilde. Cornacchie gracchiano nel silenzio creato dal rumore dell’infinito tempo, tempo che sempre non è stato abbastanza.
Se ci fosse un poeta, sarebbe un poeta che cerca il suono di ciò che risuona senza far rumore. Se ci fosse un cantare, sarebbe di voci che inseguono corvi. Una musica, per un ballo nuovo. La melodia del cimitero, un Paganini che tende l’aria. Gioco d’equilibrio, un macabro esercizio di stile.
Ella sapeva la morte essere una vittoria, ma non così grande.
Immortale, ella è tuttavia radiosa nella morte,
e il vento del volo funebre non la svelle.
La carne era il suo peso, ed ora è il suo rapimento.
Il sangue era la sua turbolenza, ed ora è il suo miracolo.
La vita era il suo limite, ed ora è la sua libertà.
Gabriele D’Annunzio
Se c’è qualcuno che ci ha provato, questo è sicuramente il Petrarca: Mauro Petrarca, poeta cimiteriale. Un cantore funebre che, nel suo personale bestiario, racconta di Cornacchie e spaventapasseri, vampiri e viscere varie. Balli di belli e ciarlatani nel nome di Isacco. Racconti dai cimiteri e sopratutto storie di reietti. Il mondo dei morti e nel mondo i nati morti. Storie e torti, abusi di potere e poterini di piccoli uomini. Un cimitero come cornice di un canzoniere. Il canzoniere di Petrarca. Un canzoniere crepuscolare dove la vita non illude più nessuno: tutti sono “quasi morti da un pezzo”.
Ma la vita continua, dopo la morte, malgrado la morte, nella morte. Dal crepuscolo di ciò che fu, nuove immortali figure nelle notti fredde. Son figli di spaventapasseri e son befane. Uomini non più uomini, uomini vecchi vestiti di foglie. E Marta che non ritornerà, nomade uccello.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo.
Cesare Pavese
Marta è una cornacchia. Nel post-mortem dell’animale alato si celano i sogni di Bàrnabo. Storie vive dal mondo dei morti, nell’eterno inseguire delle passioni e delle paure. Maschere. Sono maschere di morte dai sentimenti umani. Sentimenti vivi che non possono morire. Gli incubi oltrepassano le soglie, le porte sono frontiere labili. Sono i corvi i guardiani delle soglie. I corvi giocano col tempo e con le luci delle tenebre. I corvi ispirano poeti e cantori dell’oscurità, uccelli nomadi tra mondi antagonisti ma che si attraggono. Il canto stridulo del silenzio.
Nell’ombra. Di un’ombra senza corpo. Rivelazione dell’incantato esercizio poetico del ricordo. Il ricordo di ciò è morto, da un pezzo. La nostalgia di un’epoca gloriosa e mitica. Quella voglia d’esplorare nell’immagine che non cessa il movimento. Il sogno americano, ma anche un po’ inglese, di giocare con le tenebre. Nel tempo di un attimo, in attesa dell’inevitabile morte. E poi… Panico.
La vita fugge, et non s’arresta una hora,
et la morte vien dietro a gran giornate,
et le cose presenti et le passate
mi dànno guerra, et le future anchora
Petrarca, Francesco
Per un poeta cimiteriale era necessario un maestro della visione macabra. Luigi Cozzi, aka Lewis Coates, che fu assistente storico di Dario Argento e poi a sua volta regista cult. Figli di Mario Bava e Lucio Fulci, grandi cultori della morte e del sangue che scorre. Artigiani e pionieri, visionari e ingegneri del terrore. E Luigi Cozzi volle anche cimentarsi nella forma video breve, per lasciare un segno in un mondo, seppur così diverso, anch’esso potenzialmente promettente per un vecchio leone del cinema di genere.
Al primo tentativo gioca in casa, in un video quasi interamente girato nel suo mitico negozio Profondo rosso. Costumi ed effetti speciali sono quelli tipici del suo cinema, con un montaggio che prova ad adeguarsi a suo modo al nuovo mezzo del promo. Ma Lewis Coates non può che essere prima di tutto contenitore di un’epoca, testimonianza concreta di un’epoca gloriosa. E così, nei titoli di coda che durano più del video in sé, vediamo scorrere la storia del cinema di genere: Freda, Lizzani, Lamberto Bava ma anche Argento e Tim Burton.
Il corpo é
un corpo di ballo a tondo
di viscere e sangue
intondo al cuore.
In ennesima rappresentazione,
il balletto cade.
Petrarca, Mauro
Per poetiche cimiteriali, il colore delle tenebre sono il rosso, il bianco e il blu. E poi una cornacchia nera. Lewis Coates, al secondo tentativo, gioca sempre in casa. Una poetica cimiteriale che questa volta meglio si addice alle tematiche dei versi cantati. Visioni dall’oltre-vita ad accompagnare un cantastorie che passeggia nei suoi versi tra mistica e ironia, grottesca parata nell’altra-morte: racconti infiniti di vite già finite, da un pezzo. Un’altra morte, oltre la vita, per ridare dignità al cimitero che è la vita quotidiana. Ombre, risate in lontananza, luci che infrangono la retorica della visione. Mauro Petrarca, novello Paganini stridulo, è qui a ricordarci il fascino ambiguo, a volte estraniante, del cimitero e delle anime che lo abitano.