«E intanto i giorni passano
e i ricordi sbiadiscono
e le abitudini cambiano»
Vasco, Canzone
Vasco in una grotta. Vasco in una grotta con delle camicie bellissime. Vasco che parla d’amore. Dell’amore inseguito, smarrito, da ritrovare: come ridere. Vasco al tramonto che non vuole tramontare. A inseguire, senza correre, eppure di fretta. A inseguire l’amore come obbligo, dovere: come un comandamento. Alle volte diamo il nostro cuore e viene fatto a pezzettini. Altre volte, semplicemente, diamo il nostro cuore e questo non viene preso, è lasciato li, abbandonato. E poi bisogna scappare da quella grotta, uscire fuori da lì. Intrappolati in quel magone del fine storia, della fine di quell’equilibrio costruito col tempo e la pazienza. Tanto tempo per costruire, un attimo per distruggere. E il dovere di ricominciare. Provarci, provare a rinascere dalle ceneri, ancora una volta: e sperare di star meglio.
Vasco al bancone di un bar. Vasco che non ha tempo, Vasco che vuole stare spento. Il suono di un fischiare leggero e i violini, al vento. Ricordi, rimpianti, consapevolezza. Tutto poteva succedere: cosa vuoi rispondere. Stefano Salvati è ovunque, manovratore onnisciente delle melodie del Blasco. Salvati che ci aveva provato (e riuscito) con Polanski, ci prova questa volta con Alejandro Jodorowsky, almeno così vuole la leggenda:
Proposi a Vasco di affidare la sceneggiatura del video a un grande personaggio del cinema – spiegò Salvati – Un personaggio che ha influenzato fortemente la mia formazione professionale e che ho incontrato per la prima volta l’anno scorso a Bologna, quasi per caso. È un personaggio mitico ma poco conosciuto al grande pubblico perché, dopo i primi incredibili film dei primi anni ’70, ha seguito un percorso artistico anomalo, tutto suo, in linea con il personaggio… Si definisce un filosofo alchimista, adesso vive a Parigi, legge le carte per sé e per gli altri, lavora in teatro e la sua mente viaggia velocissima, proprio come piace a Vasco.
Jodorowky aveva proposto una sceneggiatura di 8 pagine: «surreale, potentissima, devastante». Stupido Hotel è un “non-videoclip” di Jodorowsky, l’opera non realizzata, mai letta, mai esistita. L’incompiuto “non-capolavoro”, il “non-salvato” dell’eterno Salvati: anche se sei morto dentro.
Vasco dans le métro. Solo. Lui che ci credeva più di te. Vasco che ripensa ancora ai suoi amori. Perduti amori: e smettila di piangere. Per poi riflettere alle conseguenze, quello che è stato, quello che non è stato, quello che poteva essere. Quello che, di fatto, non avrebbe potuto essere. Quando pensa a come alla fine mi hai ridotto tu, proprio non può capire dove mi ci avresti, sì, portato tu. Sempre in quello stupido hotel, in quella grotta, nascosto, protetto, lontano. Amore e non amore: nel supermarket (battistiano) di questo stupido stupido hotel: Scatolette colorate, Carni rosa congelate, C’è di tutto intorno a me, Ma lei non c’è, no. Lei non c’è più. E allora niente ha senso, e tutto vale: farsi la barba o uccidere, che differenza c’è? La testa piena di pensieri, i pensieri vanno e vengono, la vita è così. E un richiamo sospeso a quello che non è più, che forse non è mai stato, a un amore abbandonato lì, solo Time Out of Mind: Don’t know if I saw you, if I would kiss you or kill you; It probably wouldn’t matter to you anyhow.
Vasco in macchina. Vasco che canta in macchina manco fosse Nanni Moretti. Vasco che è uscito da quella grotta, da quello stupido stupido hotel, da quell’impossibile possibilità di cancellare il dolore, il sentimento d’ingiustizia, Vasco che finalmente è riuscito a dare un senso anche se tante cose un senso non ce l’ha. Perché all’uscita della grotta c’è la luce, abbastanza luce per poter andare avanti: It’s light, light enough to let it go. Quella luce per poter guardare indietro, senza rimpianti. Quella luce per cercare una nuova via, una nuova strada. Quella luce che ti sveglia al mattino, leggera. Una luce impertinente, non vuole lasciarti tranquillo. Gli occhi si aprono, di nuovo, e anche se non lo vuoi devi ripartire. Un piccolo sguardo a quello che è stato poi dire: va bene, va bene così. Va bene, va bene, va bene, anche se non mi vuoi più bene, va bene così. Sì, va bene così, senza più bisogno di aggiungere altre parole.