Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
La Boxe. In una rubrica nata come espressione delle personali passioni e ossessioni – che nella cultura del videoclip vedono la loro surreale, ma intensa sintesi – non poteva mancare la boxe. La passione più recente e totalizzante, la nuova magnifica ossessione che si fonde con le altre già spesso oggetto (in)volontario in questa sede: il cinema, la musica rock del passato, la letteratura latinoamericana, il cantautorato italiano, la narrazione di storie impossibili, il nazional-popolare nelle sue espressioni più trash e ovviamente il basket americano.
La boxe come universo lontano e parallelo alla musica. La boxe che è stata la protagonista di tante immagini ben impresse nella nostra memoria. La boxe che attrae il mondo del Rap e quello del cinema. Pugni, sangue, sudore. Ritmo, precisione, potenza.
Tanti gli appassionati di Boxe nella scena Hip-Hop americana e diverse le canzoni a questo mondo dedicate. Eppure la canzone più famosa, più ascoltata e più celebrata, è quella scritta proprio da un pugile. Non uno qualsiasi, ma una leggenda, uno dei più grandi di sempre: Roy Jones Jr. Si, quel Roy Jones che “non poteva essere toccato”, perché troppo veloce, troppo sfuggente malgrado quella sua guardia cosi inusuale e sfacciata, quell’invito a farsi menare sapendo che nessuno lo avrebbe potuto davvero fare: non poteva essere toccato.
Un genere tutto particolare quello dei “pugili intoccabili”. Da Nicolino Locche a Pernell Whitaker, passando per i vari James Toney o Sugar Ray Leonard. Oppure quel pugile per certi versi simile a Roy Jones Jr, ma addirittura più sfacciato e showman : Prince Naseem Hamed. E poi Floyd Mayweather che era semplicemente irreale, con la sua perfetta Philly Shell e tutto quel bagaglio di movimenti che lo rendevano un fantasma.
Chi invece può anche essere toccato ma tanto non gli fai nulla è GGG. Gennadij Gennadijevič Golovkin, una mascella robotica, un jab che è una pietra e la voglia di attaccare sempre. Aggressivo, in costante pressione sull’avversario, eterno incubo che sempre si conclude in una carneficina: Mexican Style.
La Boxe. La sintesi di tutto e dove tutto trova una sintesi. Dai contesti impossibili in cui nascono tanti dei pugili che diventeranno poi campioni, alla guerra vera e propria verso la quale i pugili (ucraini) sono andati quasi come prosecuzione logica e naturale di una vita di lotta e sangue. É il caso di Usyk e Lomachenko, due tra i pugili che più hanno forgiato la boxe contemporanea, ma ancora di più è il caso dei fratelli Klyčko – che hanno dominato per un decennio la categoria dei pesi massimi – dei quali uno è addirittura il sindaco della capitale dell’Ucraina: il centro di tutto, dove tutto trova la sintesi.
La sintesi della forza umana e allo stesso tempo della sua fragilità. La brutale bellezza che ispirò Hemingway e Jack London, e poi il mondo più mainstream della saga cinematografia di Rocky e la furia irripetibile del giovane Mike Tyson. L’America a stelle, strisce e grandi gocce di sangue. Rosso colore della gloria e rosso colore della sconfitta. La stessa America in cui, in quel del Madison Square Garden, si sono date battaglia solo tre settimane fa Katie Taylor e Amanda Serrano: il pugilato femminile che arriva alla ribalta per la prima volta in maniera così netta e sublime. L’incontro del secolo, la celebrazione dello sport come strumento privilegiato d’emancipazione e rispetto.
Il pugilato. In Italia, oggi, dobbiamo accontentarci di cose molto più modeste. Senza togliere nulla al coraggio, alla volontà e all’impegno dei pugili nostrani. Scardina contro De Carolis è stato anche divertente, ma vedere un vecchio grande pugile distruggere un fenomeno mediatico non è stato poi cosi memorabile. Scardina che non sa proprio muovere il busto, non ha un mento decente, non sa andare oltre il banale diretto-gancio, e allo stesso tempo sembra essere uno dei profili migliori del nostro pugilato contemporaneo. Dall’altro lato, nella boxe femminile, Maria Cecchi e le sue testate che fanno più male dei suoi pugni… Sulla scena musicale che circonda questo mondo in Italia tutto passa in sordina, il Rap tende a ignorarlo perché alla fine in Italia siamo comunque tutti più presi dal calcio e il resto cade sempre in secondo piano: per trovare una soluzione a questo contesto cosi fragile, ci vorrebbe un vero e proprio “prepara tori”, o forse un Rocchio 47. Ma anche un semplice Luigi pugilista potrebbe aiutare.
Eppure ne abbiamo avuti di grandi pugili, e di campioni del mondo. I più famosi sono il leggendario Primo Carnera e l’immenso Benvenuti, ma tanti si sono succeduti prima dello stesso De Carolis. Negli anni Ottanta erano Francesco Damiani e Gianfranco Rosi i nostri campionissimi. E chissà se i Diaframma stavano pensando a loro quando nel 1988 fecero uscire un album chiamato semplicemente Boxe, il terzo della loro discografia, di cui la title-track fu resa in immagini grazie a un videoclip di Fabio Bianchini (collaboratore storico della band). Protagonista Federico Fiumani, cantante e leader totale dei Diaframma, che mostra la sua preparazione e la sua passione per l’universo pugilistico. Forse il miglior videoclip del gruppo, di certo almeno quello più originale perché esce maggiormente dai canoni stretti della retorica New Wave, della quale in ogni caso i Diaframma sono stati i pionieri e maggiori esponenti in Italia.
Sia nel video di Siberia che in quello di Gennaio, vediamo invece come il meccanismo della New Wave musicale venga esplicitato in termini di un maggior focus sull’aspetto post-punk del movimento e la predilezione alla modernità in chiave quasi pop. Per Caldo invece si era voluto creare un sorta di girato amatoriale a tema famigliare, una sorta di cine-ricordo alla Jonas Mekas. Tutti i video sono firmati da Fabio Bianchini e tutti, a loro modo, fanno parte di quello strano e interessante crogiolo di sperimentazione che è il Videoclip italiano negli anni Ottanta.
L’incontro e lo scontro tra New Wave e pugilato è forse qualcosa di unico. Non si parla di Rap, non si parla della canzone d’autore (lo Sparring Partner di Conte o la leggendaria danza di Dylan su Rubin “Hurricane” Carter) né di quelle colonne sonore che hanno celebrato la boxe. Per un immaginario infinito e poetico che non può che avere come referenza assoluta la mitica apertura di Toro scatenato di Scorsese. E qui sì che c’è tanta Italia, dalle origini dei protagonisti di questa pellicola alla Cavalleria rusticana del Mascagni. Il bianco e nero fumoso, la lotta con le ombre e i fantasmi, e “un fascino ancora più grande di due guantoni da boxe”.