Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Dieu est un fumeur de havanes,
je vois ses nuages gris
Je sais qu’il fume même la nuit,
comme moi, ma chérie
Nient’altro che un fumatore di Gitanes, come gli sussurrava Catherine Deneuve . Un fine ricercatore della provocazione, ma allo stesso tempo il poeta più popolare in terra francese. Quella di Serge Gainsbourg è stata una parabola irripetibile e troppo lunga e articolata per poter essere riassunta brevemente. Ci limiteremo cosí a mostrarlo attraverso le immagini di alcuni suoi videoclip.
Perché Gainsbourg, malgrado sia morto ben prima della gloriosa epoca del videoclip e di Mtv, è stato uno tra i cantanti più originali e innovativi non solo nella musica ma anche nell’immagine in associazione alla melodia. D’altronde parliamo di colui che voleva essere pittore prima di tutto, e che quasi per caso o per necessità si trovó a scrivere canzoni.
L’attenzione di Gainsbourg per l’immagine è primordiale e molte delle sue canzoni sono veri e propri universi disegnati. Alle volte pure dei fumetti. Ovviamente dei fumetti sensuali e molto pop art, come testimoniato dal video di Comic Strip (1968) che accompagna alla perfezione il gioco fonetico di Gainsbourg con le parole onomatopeiche scritte sui palloncini. Il tutto con protagonista assoluta B.B.
Al di là della ricerca linguistica – che lo portó al principio degli anni Sessanta al suo primo grande successo con La Javanaise –, l’interesse per la pittura è sempre stato centrale nell’universo Gainsbourg. Nel video di Elisa (1970) gioca a suo modo con la divina Monna Lisa, che pian piano assume sempre più le sembianze della sua compagna, musa e partner musicale Jane Birkin.
L’ultimo quadro in quel dei giardini di Tuileries, che avvolgono il museo del Louvre, rappresenta il loro amore. È il suo modo di appropriarsi della Gioconda: invece di tentare di rubarla alla Ivan Graziani, prova a trasformarla in elemento chiave della sua poetica allo stesso tempo provocatoria e trascendentale, con lo stacco sulla statua di donna (La méditerranée di Aristide Maillol) che è il giro di boa della sua ossessione amorosa ed erotica.
Un’ossessione per Jane Birkin manifestata poi a più riprese (per esempio nel video di La décadance, o in qualche presenza casuale e sensuale sopra a un pianoforte) e che prima fu per la stessa Brigitte Bardot (per esempio in Initials BB), con la quale aveva avuto un sodalizio amoroso-artistico letterariamente alla Bonnie and Clyde.
E la storia della pittura rivive ancora di più nel cortometraggio Histoire de Melody Nelson (1971), scritto e diretto dallo stesso Gainsbourg in collaborazione con il principe dei registi della televisione francese Jean-Christophe Averty. L’esplorazione del concept album avviene come un viaggio in senso stretto (inizia e finisce con Gainsbourg conducendo un’automobile) in un museo da attraversare.
Serge e Jane camminano, ballano e cantano in mezzo ai vari Max Ernst, Salvador Dali o Henri Rousseau. É il museo-universo di Gainsbourg, della sua arte, delle sue immagini preferite. Ci si apre anche alla psichedelia pura, quasi ipnotica, con uno spiccato gusto per la sperimentazione: lettere che danzano, giochi di colori, immagini d’archivio e animazioni varie.
D’altronde il poliedrico Gainsbourg ha saputo esprimersi a più riprese nel mondo del cinema (cinque lungometraggi dal 1976 al 1990) ed è stato regista anche di alcuni videoclip per altri artisti, tra cui Indochine, Marianne Faithfull e Renaud. E poi c’è Charlotte.
Perché se c’è qualcuno che pensi che la cosa più estrema che abbia fatto la figlia di Serge sia stata con Lars Von Trier, non conosce la storia di Lemon Incest (1985). Una canzone che già di per sé parla dell’amore tra padre e figlia, un amore passionale ma non sessuale (“L’amour que nous ne ferons jamais ensemble / Est le plus beau, le plus violent / Le plus pur, le plus enivrant”) che sconvolse anche o sopratutto per il videoclip in cui vediamo Gainsbourg a petto nudo in un letto assieme a Charlotte.
La canzone è contenuta nell’album Love on the beat che gioca con la parola “beat” che pronunciata uguale ma scritta differente (bite) in francese sta a significare l’organo genitale maschile. Un album che vedeva in copertina un “Gainsbourg al femminile” e che per la title track ci aveva regalato un video con vulcani e ballerine nude. Non pago dello scandalo provocato, l’anno successivo farà uscire nelle sale Charlotte Forever che racconta della relazione tra uno sceneggiatore alcolista e la figlia adolescente.
Non c’è dubbio che Gainsbourg fosse ossessionato dalla provocazione. Se dette il meglio di sé alla televisione francese (qui riassunti i momenti più memorabili, compreso il famoso scambio con Whitney Houston e il suo “I want to fuck you”) fu forse con Aux armes et caetera che seppe sconvolgere la Francia nella maniera più radicale e definitiva.
L’inno nazionale riletto in chiave reggae e, soprattutto, il ritornello eluso con un quanto mai sovversivo “et caetera”. Il poeta che rileggeva Prévert, negli anni Ottanta era diventato uno tra i più grandi sperimentatori musicali aprendosi a diversi generi anche molto distanti dalla sue origini da chansonnier. Il gusto per il diverso, il nuovo e sopratutto per il non convenzionale lo fecero diventare leggenda.
Ancora oggi i fan portano sulla sua tomba, nel cimitero di Montparnasse, i pacchetti delle sue amate Gitanes (tra l’altro da poco proibite nella versione originale con il tabacco bruno) e cantano le canzoni di colui a cui piaceva dire addio citando Verlaine. Al di fuori della Francia è più che altro conosciuto per una sola e grandiosa canzone della fine degli anni Sessanta (che diventerà anche il titolo del suo primo lungometraggio da regista nel 1976), di cui il videoclip ne rappresenta l’essenza più pura. Come nel promo di Elisa con i Tuileries e il Louvre, qui la fallica Torre Eiffel e la piazza di Trocadero non possono che celebrare l’immortale amore con la sua Jane Birkin. Peraltro siamo nel 1969, l’anno erotico per eccellenza: ça va sans dire.