Novità importante per il Pesaro Film Festival: la storica rassegna marchigiana propone da quest’anno anche una vetrina dedicata al videoclip italiano. “Vedo Musica” – così si chiama la sezione – è curata dal critico Luca Pacilio, e conta una selezione di venti videoclip italiani, che in questi giorni si stanno dando battaglia in un contest tenuto sul profilo Instagram della kermess. I sei videoclip più votati dal pubblico verranno infatti proiettati all’interno del festival, che si terrà dal 19 al 26 giugno in presenza del pubblico (evviva!).
I promo in gara
Madame – Baby (Martina Pastori)
David Blank feat. Pnksand + ilromantico – Foreplay (Delia Simonetti)
Blanco – Ladro di fiori (Simone Peluso)
Logo – Rompompom (Silvia Clo Di Gregorio)
Paolo Pietrangeli – Amore un cazzo (Chiara Rigione)
Gianna Nannini – L’aria sta finendo (Luca Lumaca)
Mace feat. Blanco, Salmo – La canzone nostra (YouNuts!)
Venerus – Ogni pensiero vola (Cleopatra)
Mahmood – Inuyasha (Simone Rovellini)
Mecna feat. Ghemon, Ginevra – Soli (Enea Colombi)
Margherita Vicario – Orangotango (Attilio Cusani)
Massimo Pericolo – Bugie (Alberto Rubino, Matteo Aldeni)
Ghemon – Momento perfetto (Matilde Composta)
Colapesce, Dimartino – Musica leggerissima (Zavvo Nicolosi)
Irama – La genesi del tuo colore (Gianluigi Carella)
Fulminacci – Santa Marinella (Danilo Bubani)
Eugenio In Via Di Gioia – Non vedo l’ora di abbracciarti (Giorgio Blanco)
Bautista – Una buona storia (Acquasintetica)
Extraliscio – È bello perdersi (Elisabetta Sgarbi)
PS5 – Transe Napolitaine (Sabrina Cirillo)
Qui di seguito trovate invece la nostra intervista al curatore Luca Pacilio, che ci racconta la genesi del progetto, difficoltà e criteri della selezione e il suo punto di vista sulla scena italiana e internazionale.
È davvero bello vedere come una realtà quale il Pesaro Film Festival si interessi al videoclip. Ebbene, com’è nato il progetto “Vedo musica”?
Con Pedro Armocida, il direttore del Pesaro Film Festival, uno dei più appassionati videofili che io conosca, se ne discuteva da tempo: l’idea di una sezione dedicata al recente videoclip italiano gli sembrava giusta per un festival come quello di Pesaro, aperto ai linguaggi del contemporaneo. Tanto che questo progetto si stava concretizzando già nel 2019. E se l’anno scorso la pandemia ha reso tutto troppo incerto per potersi muovere in quella direzione, questa edizione ci è sembrata quella giusta per fare finalmente questo passo.
Sono 20 i videoclip segnalati. Immagino che non sia stato un lavoro facile, quello della selezione. Al di là del gusto personale, ci sono stati dei criteri particolari che hai seguito al momento di decidere quali video stavano dentro, quali invece dovevano essere lasciati fuori?
Scegliere vuol dire anche escludere e, con un bacino così ampio nel quale muoversi, arrivare alla lista finale è stata dura. L’idea da cui sono partito era di considerare, tendenzialmente, videomaker dell’ultima generazione e di non concedere più di un titolo a regista, cosa che ha determinato ulteriori, dolorose esclusioni, perché nel campo ci sono firme prolifiche, con più titoli papabili.
Poi c’era l’idea di non dare spazio più volte a uno stesso “primo” artista. Dico “primo” perché attualmente, con i featuring, il discorso si amplia e, per esempio, nella selezione Blanco e Ghemon ricompaiono come ospiti in progetti altrui. Ancora: proporre uno spettro ampio di stili musicali, perché, cambiando questi ultimi, cambiano anche i modi di interpretare il discorso video. Poi intendevo rappresentare differenti situazioni produttive: quindi si doveva spaziare dal mainstream di un pezzo sanremese a quella nicchia di artisti meno visibili che si confronta con il video con mezzi più ridotti. E che però, proprio per questo presenta lavori in cui si escogitano soluzioni, si punta su concezioni ardite, si inventa molto, insomma, anche solo per necessità.
L’obiettivo era un panorama quanto più possibile variegato, che fosse rappresentativo di tante diverse realtà. È chiaro che, nel momento in cui fissi tutti questi paletti, da un lato tante scelte vengono facilitate, dall’altro ti trovi a dover sacrificare anche opere che ti piacciono. Alla resa dei conti, comunque, credo che i titoli scelti costituiscano un’istantanea credibile dell’attualità videomusicale italiana. E poi non va dimenticato che questa idea selettiva “dall’alto” è comunque stemperata dal contest online che, in quattro giorni di votazioni sull’Instagram del PFF, porterà alla scelta dei sei video da presentare nelle serate pesaresi. Per arrivare, alla fine del Festival, alla proclamazione del vincitore, ancora con la votazione su Instagram.
C’è qualche regista che per vari motivi è rimasto fuori da questa selezione, ma di cui apprezzi particolarmente il lavoro?
Più di uno: adoro per esempio Salvatore Puglisi, trovo la sua proposta per il progetto musicale Sem&Stènn sempre molto forte e personale. In un ambito super indipendente, peraltro. Non sono riuscito a inserire una sua opera in selezione, ma continuo a tenerlo d’occhio.
Che idea ti sei fatto della scena italiana attuale? Il “gap” con l’estero si è ristretto rispetto a qualche anno fa? Parlando più in generale, quali video di questa prima parte di 2021 hai apprezzato di più?
Seguire il videoclip è un lavoro a tempo pieno a cui dedico un tot di ore a settimana da anni e nel corso di tutto questo tempo la scena italiana mi è sembrata mutare gradualmente e raggiungere in molti casi anche risultati ragguardevoli. Abbiamo sotto gli occhi nuove realtà produttive, assai vivaci. Colmare il gap, però, non è semplice: c’è un problema culturale, innanzi tutto.
Non mancano le personalità registiche, anzi, ne abbiamo molte. A faticare a imporsi è l’idea di attribuire loro più spazio e soldi, di investire di più sul mezzo. Rischiare, osare. Fin quando le etichette imporranno i loro standard, sarà difficile per i nostri registi far emergere a pieno la loro creatività, una visione personale, uno stile che non sia inquinato dai diktat, dalle formule che si suppone vendano meglio l’artista.
Non è un caso che i prodotti indipendenti portino con sé anche i video più creativi. Lavori che però, come dicevo, fanno i conti con budget risicati. Insomma serve un salto, e deve essere il mainstream a farlo. Quando Gianna Nannini si rivolge a Lumaca e Bernardi per un video come L’aria sta finendo ci si muove nella giusta direzione. Che il video di Musica leggerissima si sia imposto in sé, al di là del successo ottenuto dalla canzone, è un altro segnale che andrebbe raccolto e sul quale si dovrebbe meditare.
Sia su Film TV che su Gli Spietati, sei stato molto critico, anche giustamente, sullo stato dell’arte del videoclip, lamentando una generale scarsità di idee. Trovi che questa sorta di trend negativo si stia confermando anche quest’anno o intravedi dei segnali positivi?
Nel 2019 per me si è toccato il fondo: ipertrofia e appiattimento, inscindibilmente legati l’una all’altro. Il 2020 partiva meglio, ma è stato fiaccato dall’avvento del Covid. Poteva essere un reset positivo, una rinascita sulla base di presupposti fondati prevalentemente sull’idea: si è rivelata l’occasione per consegnarsi all’ennesima formula.
Certo, di videoclip se ne fanno talmente tanti e in situazioni talmente differenti che di buono e di bello troveremo sempre qualcosa. Che il trend stia cambiando è presto per dirlo, qualche segnale di vitalità però c’è. Il clamoroso successo di Montero di Lil Nas X è un fatto molto positivo: non solo perché è un clip bellissimo, ma perché la discussione che ha suscitato è stata globale, come negli anni d’oro. Il fatto che un video così complesso, stratificato, eppure pop, si riaffermi come traino promozionale, a questi livelli, fuori dalle bolle, mostra con chiarezza che il mezzo, al di là del mutare dei tempi e delle modalità di fruizione, conservi intatto il suo potenziale.