Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Un occhio, un accenno di corsa in mezzo al fango, poi una bocca e alcuni schizzi di pozzanghera a riempire il quadro della visione: non pago di aver realizzato il miglior album della storia della musica leggera italiana (Anima latina, 1974), l’anno successivo Lucio Battisti decide di diventare protagonista del primo videoclip nostrano. Sceneggiatura, girato in esterni, montaggio e una narrazione dissociata dal testo della canzone: no, in Italia non si era mai visto qualcosa del genere fino a quel momento.
Siamo nel bosco accanto al mitico studio di registrazione della casa discografica Numero Uno – fondata da Battisti e Mogol – e quella è una pozzanghera artificiale creata appositamente per il video. Presente durante le riprese anche il mitico fotografo Cesare Montalbetti (in arte Caesar Monti) – famoso per essere uno dei più importati creatori di copertine di album musicali, avendo lavorato tra i tanti con la PFM, l’Equipe 84, Enzo Jannacci, Fabrizio De André o gli Area, oltre a essere il fratello di Pietruccio Montalbetti, il leader dei Dik Dik – che a partire da un fotogramma di quel video realizzerà la copertina dell’album di cui Ancora tu sarà la traccia d’apertura (Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera, 1976).
Ovviamente la questione del primo videoclip italiano è un po’ più articolata: da un lato i puristi del videoclip diranno che questo nemmeno lo è un videoclip, dall’altro quelli per cui un videoclip è semplicemente un filmato girato espressamente per una canzone, escludendo riprese in studi televisivi, potrebbero trovare anche altri video girati in precedenza. Sta di fatto che il promo di Ancora tu è comunque realizzato per la televisione (TG2 Dossier) nel settembre del 1975 ma rimarrà inedito per diversi anni, infatti non sarà trasmesso fino al 1988. Nello stesso periodo e con lo stesso regista (Ruggero Miti) sembra sia stato girato anche un altro video – dove Battisti, anziché correre, pedala in bicicletta – rimasto tuttora inedito che dovrebbe essere in possesso dello stesso regista.
In ogni caso, per quanto riguarda i video scollegati da riprese in studi televisivi, uno dei primi esempi italiani è sempre da attribuirsi allo stesso Battisti. È il 1968 e in quel di Tonezza del Cimone (Vicenza) viene girato un video per Prigioniero del mondo. Più che altro una ripresa di Battisti nell’atto del cantare, ma allo stesso tempo siamo in esterni e, soprattutto verso il finale, c’è un accenno di riprese scollegate da testo e primo piano del cantante. Diversi saranno i video di questo genere con protagonista Battisti, che si trova a volte a cantare in mezzo a un bosco (La canzone del sole, 1972) o addirittura su una barca (Emozioni, 1970).
Comunque la maggior parte dei video, come era di moda all’epoca, sono delle riprese in studi televisivi, che alle volte però raggiungono un grado di elaborazione più complesso come il celebre “bergmaniano” Pensieri e parole (1971) o il più leggero Sì, viaggiare (1978). Per non parlare poi di Una donna per amico (1979) – ultimo video che vede Battisti protagonista – nel quale si fa un po’ un grande riassunto di tutta la videografia battistiana fino a quel momento: qualche ripresa in esterni, qualche scenetta in teatro di posa e Lucio che canta accompagnandosi al piano.
La televisione era il centro di tutto e quando Battisti decide di scomparire dal mondo dello spettacolo non può che scomparire sopratutto dalla tv. Così non ci saranno altre occasioni di vederlo in un ulteriore video prodotto e/o girato dalla televisione italiana dopo il 1979. Di certo qualcosa di quasi unico che all’apice del successo si decida di eclissarsi così all’improvviso e in maniera tanto brutale. Quasi unico perché lo stesso destino sarà in qualche modo condiviso con un’altra cantante che al pari di Battisti, o forse ancor di più, aveva segnato la cultura italiani degli anni Sessanta e Settanta. Mina, che di Lucio aveva cantato diverse canzoni – oltre che essere stata co-protagonista di uno dei momenti più celebri della televisione italiana – decide di scomparire dalla scena pubblica quasi allo stesso modo, decisione se possibile ancora più drastica visto il ruolo che Mina aveva in quella televisione.
Però, a differenza di Mina, la scomparsa del corpo battistiano è totale (fatta eccezione per gli squallidi “abbatistamenti” degli anni ’90 non certo graditi dal cantante), mentre Mina qua e là si farà vedere e si trasformerà pure in animazione animalesca (citando vagamente Ieri, oggi e domani di De Sica) con l’amico Celentano.
Inoltre, a differenza di Mina, Battisti rimane coerente con se stesso e nel finale di carriera non si troverà a cantare negli spot della Wind e della TIM, anche grazie alla vedova che con la tanto criticata politica protezionista nei confronti dell’opera del marito almeno non permetterà che “Acqua azzurra, acqua chiara sia abbinata allo spot di un dentifricio”. Seppur estrema, la guerra di Grazia Letizia Veronese è sempre stata diretta all’integrità del Battisti pensiero che di certo non si sarebbe venduto per qualche soldo – anzi, a partire dagli anni ’80 oltre ad eclissarsi dalla scena pubblica decide di seguire una strada musicale decisamente non commerciale – e che non avrebbe mai voluto essere strumentalizzato per chissà quale fine. Neppure nel caso di manifestazioni celebrative o semplici cover come quella dei Delta V, che finirono in tribunale con la vedova Battisti proprio a causa di un videoclip.
Di certo Battisti non sarebbe mai potuto salire sul palco della festa dei lavoratori a parlare di cose che non c’entrano nulla con le ragioni di quell’evento e soprattutto nulla con la sua musica – ogni riferimento a Fedez che, invece di parlare delle condizioni dei lavoratori sfruttati ad esempio dagli schiavisti di Amazon (con i quali Fedez ha un contratto milionario di sponsorizzazione) decide nell’ambito di un concerto dedicato al mondo del lavoro di parlare di tutt’altro solo per farsi pubblicità, è ovviamente del tutto casuale – o magari mettere la sua musica in mano a qualche altro sfruttatore seriale di culture popolari. No, Battisti nel finale della sua carriera ha scelto Hegel alle compagnie telefoniche.
Così come Lola corre (1998) è il film che primo dimostra l’influenza straripante del videoclip sul mondo del cinema, Battisti che corre è il primo segno in Italia di quello che sarà il prossimo avvento della cultura del videoclip sul mondo della musica. Una corsa (o forse la navigazione di un “veliero”) che ben presto lo porterà lontano da Mogol e artisticamente più vicino prima a sua moglie e successivamente a Pasquale Panella.
Ma la sua avventura nel mondo del videoclip non finisce così. Infatti, malgrado scompaia del tutto dalla scena pubblica, continuerà a far uscire album e qualche video. Fino alla fine, fino al suo ultimo album Hegel, che vedrà ben due videoclip. Hegel (1994) – probabilmente il secondo disco più importante del Battisti post-Mogol, dopo il solo inarrivabile Don Giovanni (1986) – è uno strano testamento in musica, il culmine di 30 anni di carriera che dal blues lo portarono alla canzone intellettuale in un percorso decisamente irripetibile.
Un percorso in bilico tra il reazionario e il visionario, tra sogno popolare ed una vita da eremita. Passando per versioni discutibili in lingue straniere – l’album Images (1977) ma anche la stessa versione in inglese di Ancora tu – per cercare d’esportare qualcosa di inesportabile. E i suoi ultimi due videoclip (Hegel e La bellezza riunita) rappresentano alla perfezione un percorso che assomiglia a un collage d’immagini e suoni, ritagli di un passato e frammenti di un futuro mancato.