Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Se la storia la scrivono sempre i vincitori, non ci può stupire come l’epopea italiana del più grande pensatore russo dell’Ottocento sia spesso stata narrata sotto forma di farsa. Perché Michail Bakunin provò, più o meno in accordo con Marx, a portare anche in Italia qualcosa di diverso. E forse più per colpa di Marx che dell’irriducibile nemico Giuseppe Mazzini, non riuscì a far sfociare quel sentimento anarchico in un paese che aveva già deciso di percorrere tutt’altro destino.
Il mitico Bakunin, quello barbuto e sognante come fu immortalato da Nadar, era ormai diventato una barzelletta nell’Italia risorgimentale che già puzzava di nazionalismo. La stessa Italia che, senza nemmeno rendersene troppo conto, qualche tempo dopo sarebbe stata presa nelle braccia di un altro (ex)socialista che quelle idee mazziniane di Stato autoritario le avrebbe prese fin troppo alla lettera. La breve stagione dell’anarchia in Italia è la storia di un fallimento. Una storia finita in un’insurrezione impossibile in quel di Bologna e la fuga. E poi ad altri, sempre ai vincitori, il racconto di quella storia.
Eppure il sentimento anarchico, decantato da tanti e praticato da pochi, è un qualcosa che sempre ha ispirato poesie, canzoni e sogni vari e vaghi di libertà. Es un sentimiento nuevo che ci tiene alta la vita, pur essendo vecchissimo e consumato: la libertà di Paul Eluard o quel “ubriaco nel coro di mezzanotte” di Cohen. Ma anche i baffi e il cappello di Tonino Carotone.
Un rivoluzionario anarchico – oltre che russo e barbuto – era forse troppo nel contesto dell’Italia risorgimentale. Un modello di società troppo complicato da capire, soprattutto rispetto al semplice e diretto entusiasmo che può portare una bandiera con tre colori accompagnata magari da una marcetta orecchiabile. No, probabilmente l’anarchia per essere popolare dev’essere sotto tutt’altra forma. O forse non può proprio essere popolare e proprio per questo è così affascinante e leggendaria.
E allora l’anarchismo può semplicemente trasformarsi in un atteggiamento, un coerente distaccarsi dal modello prestabilito e dar spazio a quella libertà tanto desiderata. E poi c’è sempre quell’anarchico di Pessoa che deve diventare un banchiere per poter attuare i suoi principi anarchici. Come può allora un semplice ragazzo di strada perseguire la sua libertà?
Sta di fatto che, a più di un secolo dall’arrivo di Bakunin in Italia, ci è stata data un’altra possibilità. Un altro uomo da un paese straniero venuto da noi per portarci il seme dell’anarchia. Questa volta uno cresciuto nel mito dell’Italia, – o meglio della sua cultura musicale – da cui deriva anche il suo stile e il suo nome, che venne nel nostro paese per la prima volta nel 1995 in atto di disobbedienza alla leva militare spagnola.
Tonino Carotone è nel look Fred Buscaglione e nel nome Renato Carosone. In omaggio al primo inciderà anche una cover di Guarda che luna (assieme agli Arpioni) mentre con il mito della canzone napoletana ci collaborerà direttamente. Non solo convincerà l’ottantenne Carosone a ricantare in duo insieme a lui la sua più celebre composizione Tu vuò fa l’americano, ma questa sarà anche la sua ultima registrazione in assoluto (morirà l’anno successivo). Ma le collaborazioni con musicisti italiani sono tante altre, dagli stessi Arpioni con cui registra anche il singolo Malacabeza fino a Piotta con il quale incide Vino Tabacco e Venere.
E poi c’è la immancabile comparsata in un programma di Celentano, la cui presenza è diventata ormai una consuetudine di questa rubrica. Da Celentano ci va per accompagnare Manu Chao (suo grande amico e con il quale ha scritto pure qualche canzone) che si incarica personalmente di presentarlo al cantante italiano, il quale non può mancare di fare al nostro una delle sue domande così profonde e senza retorica: “Tu credi nell’amicizia?” Tonino risponde mostrando un dizionario italiano-spagnolo e dicendo: “Da Pamplona a Milano per cantar per Celentano” (autocitazione di un verso di Pecatore).
Ma oltre al nome, allo stile e alle collaborazioni, il legame più evidente di Tonino con l’Italia è l’uso della lingua italiana nelle sue canzoni. Un italo-spagnolo, spesso, che nell’intro di Me cago en el amor esprime il suo apice: “È un mondo difficile / E vita intensa / Felicità a momenti / E futuro incerto / Il fuoco e l’acqua / Con certa calma / Serata di vento / E nostra piccola vita / E nostro grande cuore.” Poesia grottesca. Poesia goliardica. Poesia.
Si è detto del fallimento della rivoluzione di Bakunin. Una ossessione la sua per una società diversa. E di fallimenti e ossessioni ce ne sono tante altre, come sa bene Bon Dylan che sulla poetica del fallire e la celebrazione della caduta ci ha fatto una carriera da premio Nobel. L’ossessione e il racconto del fallimento in Tonino Carotone è più circoscritto, puntuale: Tonino Carotone è il Bob Dylan della fregna. Parla d’amore e delle sue conseguenze, parla dell’impossibilità di farne a meno e del fatto che sempre l’“amore non paga”.
E così è nel video di Me cago en el amor dove ogni tipo di amore viene sperimentato (dal sado-maso al matrimonio), portando sempre alle peggiori conseguenze: dolore, tradimento, abbandono. E aunque pareza no tienes la culpa, la culpa es del amor. Tonino canta la libertà e la sofferenza dell’ideale di libertà, Tonino se caga en el amor invece di prendersela con Dio (il titolo della canzone è una rielaborazione delle famose imprecazioni spagnole me cago en Dios o me cago en la hostia, ma anche un addolcimento “poetico” di me cago en la puta). Il tutto sotto forma di grande tragedia goliardica con bambole gonfiabili, per lui ballerino di tango e santo peccatore che per l’amore vive e di amore perisce.
La carriera di Tonino Carotone vede tre album in tutto tra il 2000 e il 2008, poi diverse collaborazioni e qualche singolo sparso. E poi un piccolo libro in cui si racconta un grande cuore: Il maestro dell’ora brava. Il racconto del tour tra l’Italia e la Spagna nel 2006 che diventa un romanzo on the road tramite la penna di Federico Traversa che più di ogni altra cosa si vanta che sia “uno dei titoli più rubati nelle librerie. Una roba assurda: per ogni libro venduto ne venivano fregati tre.” Il mondo anarchico di Tonino che piano piano esce dai racconti alcolici nelle sue notti vagabonde, dai quartieri poveri di Pamplona alla musica di strada, passando per l’anno trascorso in prigione per non aver voluto partire militare e le ballate con gli amici Manu Chao e Emir Kusturica.
Una vita anarchica e da giramondo, profeta del mondo difficile e coerente nella sua vita d’antidivo ma senza sbandierarlo, da mito di nicchia ma con qualche successo popolare. Tante le sue apparizioni e tante le sue sparizioni: tra palchi vuoti e folle di gente, in un concerto di un paesino di campagna a cantare nel programma del David Letterman spagnolo Andreu Buenafuente. Tra impegno e ironia, tra anarchia e sofferenze di una vita intensa. Sempre con grande stile.