Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Era il 2012 quando Freak Antoni fu ad un passo dal partecipare a Sanremo. Aveva preparato un pezzo su misura, una canzone che non era romantica però quasi, che non era del tutto sanremese però quasi. Avrebbe potuto essere una delle canzoni più belle sentite negli ultimi dieci anni della kermesse, una romantica canzonetta “meta-sanremese” con un’ironia fin troppo sofisticata per il festival dei fiori.
Freak Antoni la presentò a Gianni Morandi – il conduttore di quell’edizione – come una “canzone d’amore con risvolti sempre molto ironici ma garbata”. Morandi disse che il Freak era un personaggio troppo di nicchia e che per andare a Sanremo avrebbe dovuto portarsi un big, pagandolo di tasca sua. Gli rispose: “beh, grazie del vantaggio” in quanto “per dire, Sting costava 70 mila euro perché era in tournée in Italia, faceva uno sconto e si poteva anche risparmiare sull’albergo. Invitandolo a casa, essendo io un artista di nicchia, avrei potuto dormire in cucina. ‘Io sarò un artista di nicchia, ma tendo al tabernacolo’ gli risposi ed ovviamente Morandi non capì. Allora mi disse che sarei potuto venire con un big italiano.”
Così provò a convincere Antonacci e Carboni, ma niente da fare. Propose anche Dario Vergassola, Serena Autieri, Joe Squillo e tanti altri, ma nessuno sembrava andare bene. Allora “alla decima telefonate gli dissi [a Morandi]: ‘e se vengo a cantare con il signore iddio, se PORTO DIO?’ Morandi chiuse la conversazione riattaccando e così andò la questione.” Il bello di questa vicenda sta anche nel fatto che poi il Freak scriverà la mitica Porto Dio, con la quale racconterà il tutto a suo modo. Una canzone simbolo, un’esclamazione sotto forma di canzone. Una bestemmia non detta, un grido non gridato.
Nel Sanremo del 2021 siamo stati testimoni delle cover più diverse. Un’orgia di sacro e profano che ha visto coinvolti anche Guccini e i CCCP – che a Sanremo non ci sarebbero mai andati, nemmeno sotto tortura -, Battiato e fino alla nausea i soliti Battisti e Jovanotti. C’è stato pure un Manuel Agnelli coverizzato e che allo stesso tempo coverizza. E in questo solito bordello di omaggi e sacrilegi, ancora una volta nessuno ha pensato al caro Freak Antoni e ai suoi Skiantos. E allora ci pensiamo noi, riproponendo i migliori momenti dell’ultimo Sanremo attraverso il filtro delle loro canzoni. Canzoni “di nicchia”, ovviamente.
Iniziamo dai vincitori di questo Festival. Ovvero i ribelli buoni per i salotti. I ribelli che vanno a cantare e vincono la manifestazione canora più classica che esista. Il rock per il gran pubblico borghese, la felicità di aver vinto contro Orietta Berti nel luogo preferito del canto all’italiana. D’altronde sono gli stessi che devono il loro successo alla partecipazione ad X Factor, altro contenitore commerciale e vuoto di questa stanca e ripetitiva contemporaneità. E da ribelli da reality a ribelli da teatro Ariston il passo è breve.
L’importante è saltare e gridare, portare vestiti nude look creati da stilisti del lusso e inneggiare ovviamente alla propria diversità e all’anticonformismo: “fuori di testa, ma diverso da loro”. Che poi chi siano questi “loro” non si capisce mai… “Loro” sono il pubblico che li vota, sono quelli che li hanno scelti per stare li sul palco e “loro” è la solita retorica da canzone che cerca di farsi generazionale, contro un sistema che non si capisce bene cosa sia e chi ne faccia o non faccia parte. Sono dei ribelli, mamma, i ribelli che hanno sbancato Sanremo: Ricorda di comprarmi dei calzini / Fai mettere le borchie ai pantaloni / Ho il pullover e la giacca di pelle / No, non ho freddo e sono un ribelle !
L’anno scorso invece il vincitore era stato Bugo. Vincitore morale ovviamente. Perché l’edizione del 2020 è stata forse altre cose, ma per tutti è stata l’edizione del litigio Bugo-Morgan. Noi ne avevamo scritto il giorno dopo la fine del Festival, difendendo quel che rimaneva della sua storia musicale, l’eroe sfigato delle periferie vittima di Morgan, il simbolo di tutti i ribelli da salotto borghese. Poi, il nostro Bugo aveva cercato di sfruttare la scia di quel clamoroso successo ma per sua sfiga il covid aveva per forza di cose fatto dimenticare ben presto le sue disavventure.
Una sfiga che, come abbiamo descritto in un articolo di qualche tempo fa, porta Bugo ad avere tutte le carte in regola per essere la cartina tornasole di quello che potrebbe essere l’andamento dell’anno 2021. Perché Bugo a Sanremo ha voluto ritornarci, passando praticamente inosservato. Nostalgia canaglia che lo ha fregato: un assassino non deve tornare mai sul luogo del delitto. E così quella è la miglior canzone mai scritta in Italia sul tema della droga, ci serve qui in tutt’altra accezione per poter parlare del suo dramma: caro Bugo, i gelati sono buoni ma costano milioni…
E poi a movimentare le acque in quel di Sanremo ci ha pensato Zlatan Ibrahimovic. A pochi giorni dalla polemica con sua maestà Lebron James, lo vediamo come ospite principale di questa edizione. Già in quel della discussione con la stella della Nba aveva, per l’ennesima volta, fatto capire la sua (non) posizione politica. Come se il non schierarsi non sia una forma di schierarsi… Eppure sul palco ci va e si mette a cantare una canzone dei Nomadi. Ripeto: una canzone dei Nomadi. E in coppia con Sinisa Mihajlovic, che più di una volta ha fatto ben capire la sua posizione politica, in particolare nel suo endorsement per Salvini al tempo delle elezioni regionali dell’Emilia Romagna. Ecco, i Nomadi una certa storia di lotte sociali e prese di posizioni politiche anche l’avrebbero…
Ma d’altronde siamo il Paese dove la stessa Giorgia Meloni può citare in parlamento quel comunista di Bertolt Brecht e nessuno ci fa poi tanto caso. Siamo nell’epoca dove tutto è permesso, tutto è confuso e quindi tutto è possibile. D’altronde abbiamo visto il (ex) segretario del partito democratico sostenere Barbara D’Urso, allora come non comprendere che sia possibile anche che (quel che rimane de) i Nomadi stessi si sentano orgogliosi di tale “omaggio”… Tutta invidia dirà qualcuno e allora rispondiamo così: Morirai ricchissimo, ti piacerà pochissimo /Morirai sanissimo, ma ti piacerà pochissimo / Morirai bellissimo, ti piacerà pochissimo / Morirai sanissimo, ma ti piacerà pochissimo.
Ed eccoci al premio per la gaffe dell’anno. E Orietta Berti si dimostra ancora in formissima. È oggettivamente la miglior gaffe linguistica dai tempi del compianto Mike Bongiorno. Ci vuole davvero un tocco di genio per poter dichiarare che le piacerebbe duettare con i Naziskin. Che poi nello stesso video nessuno si è reso conto che cita Ermal Meta aggiungendo una “l” alla fine (Ermal MetaL), che apre anch’esso un altro mondo bellissimo.
Forse, semplicemente, la Berti cerca un modo di poter vincere un Sanremo visto che non ha trionfato malgrado le ben 12 apparizioni e la sua grande popolarità. Che poi la Berti è una protagonista assoluta di questa edizione anche per il videoclip allo stesso tempo futurista e post-moderno della sua canzone, qualcosa che solo averlo pensato fa rileggere tutta la sua carriera da un’altra prospettiva…. Oh, sulla buona fede comunque non ci sono dubbi, non stiamo mica parlando della sovranista Rita Pavone. E questo fa passare in secondo piano che forse l’Orietta nazionale è un tipo senza storia, mi han fregato la memoria.
Ma tornando al tema della (falsa) trasgressione non possiamo non accennare alla performance di Achille Lauro. Onestamente, ci sembra che una cosa così faccia scandalo solo perché siamo in Italia. Tra l’altro è una bella scopiazzata di tante esibizioni che si sono viste nel corso degli ultimi anni un po’ dappertutto nel panorama internazionale. Non che negli Stati Uniti siano meno bigotti che da noi, però almeno loro se le inventano le esibizioni.
E poi, come non vedere che tutto è strumentale, ancora una volta, a dare un’immagine di cambiamento, di progresso proprio dove si incarnano nel profondo tutte le retoriche musicali e non, sociali e non, di un Paese intero. Forse servono certi falsi eccessi per rendere il tutto più normale, far entrare pian piano nella testa delle persone la semplicità di certe tematiche e per sbarazzarci il più possibile da tutti i pregiudizi e le vergogne quotidiane che ancora accadano (il caso della Asl in Liguria non stupisce nemmeno più di tanto). Però, Achille Lauro… I buoni ed i virtuosi, sono identici e noiosi / Con la stessa fissazione, far trionfare la religione.
Oh, per essere chiari: di canzoni d’amore inutili ce ne abbiamo ogni anno a tonnellate. Sanremo è da sempre il luogo privilegiato per tutte queste canzoni sdolcinate e retoriche. E il fatto di essersi abituati a tali vagonate di ballate tutte insopportabilmente uguali non è poi così sorprendente. Quello che sorprende invece è come continuino a scriverle, come continuino poi a farsele ascoltare e piacere. E magari a farsele votare fino a giungere alle posizioni più alte delle classifiche, non solo di quelle di Sanremo. Il paradigma di tutto questo nell’edizione del 2021 è la canzone di Ermal Meta(L). Uno che poi magari qualcosina da dire forse anche ce l’avrebbe e che in tutto questo marasma sanremese avrebbe anche potuto emergere. E invece no, “non dico niente”, vabbè… Sono anch’io un gran poeta / C’ho la camicia di seta / Compro dischi d’amore per sballare due ore.
Qualcuno per caso ci sta chiedendo un commento su Fedez? Et voilà:
Se non hai voglia di parlare non ti posso biasimare, no
Ma alle caccole del naso tu ci devi fare caso, oh, sì
Voglio solo scaccolarmi, scaccolarmi, scaccolarmi
Non lo posso più negare, io ci godo a scaccolare, sì
E non cercare di distrarmi voglio solo scaccolarmi, scaccolarmi
Voglio solo scaccolarmi, scaccolarmi, scaccolarmi
Vabbè, non si può scrivere un pezzo a base di canzoni degli Skiantos senza citare la loro canzone più rappresentativa e forse anche la più conosciuta. Che poi è una evergreen del mondo culturale tutto. E Sanremo in qualche modo non ne è al di fuori. Di avanguardia a Sanremo non ce n’è mai stata ovviamente, però è costante l’eterno tentativo di rinnovarsi e di mostrarsi “più moderni”, in qualche modo “alternativi”. Spesso lasciando spazio a quello che è creduto “trasgressivo” (il gruppo vincitore di quest’anno lo dimostra, ma non sono i soli) e cercando di dare un’immagine di sé differente da quello che è: il classicismo e il conservatorismo più duro e puro. Sì, questo anno non ci sono state le polemiche sulle donne dell’anno scorso, ma le cose sono andate davvero in modo diverso? Largo all’avanguardia, perché in ogni caso siete un pubblico di merda….
Foto di copertina via.