Di Draghi e orchidee. Opposte opposizioni per larghe maggioranze. Segnali di vita, segnali di fumo. Segnali di serietà, dicono, e l’ennesima rottura della dignità politica. Di Draghi e di tanti fiori. Che senza i draghi c’era solo il manicomio o la croce rossa. Ma i malati sono sempre di più e i pazzi non smettono di girare intorno a se stessi. E no: se qualcosa rimane, è il peggio. Come sempre. E no: ancora una volta piomba dall’alto il salvatore, che sempre salva quello che può e che sempre non salva nulla. Di Draghi e senza eccezioni. Da destra a sinistra, da ex-sovranisti a ex-riformisti. E tanti piccoli animaletti in sottofondo. Di Draghi e senza retorica, quella mai. E poi quello che verrà: tanti soldi, qualcuno che saprà come spenderli e tutto da rifare ancora una volta.
Una notte d’inverno un Conte viaggiatore tentava, come nel libro di Calvino, di terminare qualcosa che già così difficilmente aveva iniziato: ovviamente era un tentativo destinato all’incompiutezza. Troppe distrazioni, troppe finte trame, troppe sovrapposizioni. E se ci sono i Draghi non è un racconto comune, se ci sono i Draghi dev’essere per forza una favola. Non si sa se tutte le favole finiscono bene ma di certo prima o poi devono finire. Con un futuro anteriore tutto da scrivere e da verificare.
Malcolm McDowell in Time After Time – qualche anno dopo Arancia Meccanica e nello stesso anno dello “sfortunato” Caligola – interpreta lo scrittore H.G. Wells che si ritrova grazie alla sua macchina nel tempo nel 1979. Lui, un progressista e all’avanguardia nel secolo XIX, che si sente spaesato e arcaico a distanza di meno di un secolo. Pensando di essere giunto alla sua Utopia di progresso, si ritrova in un mondo violento dove il suo bizzarro antagonista (Jack lo squartatore) si sente invece più che a suo agio. Dove c’erano spazi vuoti e lentezza, vede grattaceli e gente che corre senza freni. E banche, tante banche. Proprio la commessa di una banca sarà colei di cui si innamorerà e per la quale, malgrado tutto, lascerà una porta aperta al “nuovo mondo”.
Detto questo, Mario Draghi non è certo un banchiere come molti lo vogliono ritrarre. È un economista e probabilmente l’italiano con più stima e potere in Europa. È un signore che ci ha salvati – e più di una volta – da un disastro e ancora è qui per questo scopo. Soprattutto nell’ennesimo momento di palese fallimento della politica italiana, dove nessuno sembra davvero interessarsi a qualcosa che non sia il tornaconto personale. Rimane però la solita questione sospesa, la stessa che fu ai tempi del governo Ciampi e di quello Monti: il repentino innamoramento per Draghi da parte di quasi tutte le forze politiche cosa lascerà nel “dopo di lui”? Quale la porta aperta al “nuovo mondo”?
Se l’H.G. Wells di McDowell fosse vissuto al principio del secolo XXI e si fosse proiettato in avanti solo di qualche decennio, chissà cosa penserebbe nel vedersi i Cinquestelle alleati un po’ con tutti, una Lega nel giro di pochissimo diventata europeista dopo la fase nazionalista e senza contare il suo passato secessionista, una sinistra che non vince le elezioni da chissà quanto tempo è che, eccetto in quella parentesi in cui la Lega era alleata con i 5Stelle, è sempre stata al governo negli ultimi dieci anni. Per i cento anni della nascita del Partito Comunista Italiano il regalo più bello: la trasformazione definitiva di un partito idealista e di lotta a una forza governista a tutti i costi e con chiunque. La nuova Democrazia Cristiana, pronta ad accogliere nuovi amici e vecchi nemici: qualcuno lo aveva ben sottolineato che Berlusconi non era ancora morto… E vedere la Gelmini e Brunetta di nuovo ministri ci fa sentire tutti più giovani.
Incominciamo però dal principio. Come funziona una repubblica parlamentare ce lo spiega estremamente bene Frankie Hi-Nrg Mc con il suo Rap Lamento. Certo, qui si parte dalle elezioni e dal fatto che “per far una partita alla repubblica bisogna essere iscritti a una compagine politica” come base del sistema: anacronistico. Perché in Italia non si vota più e pure quando si vota non è che conti più di tanto. Gli ultimi due presidenti del Consiglio non sono stati votati da nessuno e non sono mai stati iscritti a nessun partito. I bei tempi in cui si sceglieva in maniera ben distinta una parte politica o l’altra sono ormai andati. Lo stesso Mattarella con la sua legge elettorale ci aveva provato a rendere il gioco più semplice, ma non è durato poi molto. Che poi siamo il Paese che ha il record assoluto di numero di governi in un’era repubblicana: 67 esecutivi in 75 anni. Adesso sembra ci si stia inventando i gruppi interparlamentari, alleanze all’interno di altre alleanze. Macro e micro gruppi, dentro e fuori i confini governativi.
Frankie Hi-Nrg Mc non poteva aver previsto che lo stesso campo da gioco sarebbe stato allargato e che si potesse allargarlo proprio nel momento in cui sarebbero stati tagliati il numero dei giocatori. Di certo uno spettacolo, di certo il parallelismo con il mondo calcistico è doveroso quanto preciso. E se Aldo Biscardi è stato sostituito irreversibilmente dai social media, rimane ancora spazio per qualche bella rissa in ambito parlamentare. In fondo i due pets protagonisti del video non sono né caricature né esagerazioni, fanno quasi un po’ di tenerezza per quello che potevano essere le paure sulla politica vent’anni fa. Adesso nessuno s’impegna così tanto per vincere le elezioni e sopratutto nessuno vuole davvero andarci. Le cose vanno così e d’altronde, come ci ha insegnato Gaber: “dopo anni di riflessioni sulle molteplici possibilità che ha uno Stato per organizzarsi sono arrivato alla conclusione che la democrazia è il sistema più democratico che ci sia.”
Per adesso è tutto in pausa. Un po’ perché è arrivato Draghi a cui nessuno può dire no, un po’ perché bisogna risolvere i problemi urgenti del Paese. E per non pensare ai problemi più strutturali, i problemi cronici che ci portiamo dietro da molto tempo e che nessuno davvero ha voglia di risolvere. Adesso abbiamo Draghi, una larga maggioranza, un grande consenso. Per lui forse un’autostrada verso la presidenza della Repubblica. Ma quale Repubblica dovrà gestire e quale altro tecnico dovrà tirar fuori dal cilindro quando ci sarà la prossima crisi del sistema politico, beh… questo nessuno lo può proprio sapere.
Il fatto che in certe situazioni tanto caotiche venga chiamato un tecnico che, in un modo o nell’altro, ha sempre a che fare con le banche (era così per Ciampi e Monti e ancor più con Draghi) fa pensare al paradosso del Banchiere anarchico del racconto di Fernando Pessoa. Un uomo di forte fede anarco-socialista si rende conto che la sola maniera per mettere in atto la sua rivoluzione è quella di diventare un banchiere, così da poter arricchirsi a tal punto da poter avere la libertà di agire nella più completa anarchia, senza vincoli e senza compromessi. Un’utopia a contatto delle circostanze che scoppia nel paradosso e che si erige a lucida espressione della sua forma: un banchiere come unico e disinteressato profeta dell’anarchia.
Chi lo sa se Mario Draghi sarà profeta o solo, come è più logico credere, amministratore del poco amministrabile. Gestire l’anarchia non ti rende un anarchico come “gestire una banca” non ti rende un banchiere. La retorica del senso di responsabilità sarà sempre la costante e qualcuno poi questa voragine dovrà pur coprirla. Si faranno tante manovre così da mantenere il sistema esattamente così com’è e tanto come andrà a finire e chi dovrà pagare lo sappiamo tutti….