Il sogno del cinema e la realtà concreta, complicata, ma molto fantasiosa dei videoclip. Antonio Giampaolo con la sua Maestro Production si è imposto in pochi anni come uno dei produttori più importanti per quanto concerne i videoclip musicali in Italia, mettendo Roma al pari di Milano sulla mappa italiana, a dispetto della centralità del capoluogo lombardo in campo discografico. Un personaggio istrionico, larger than life, che rispecchia nella sua personalità lo stile sì elegante e attento alla forma, ma anche colorato e un po’ fracassone dei lavori che produce. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare i segreti del mestiere, i problemi e i risvolti della produzione videomusicale nonché le origini e il futuro della sua casa di produzione.
Nicola Marceddu: Partiamo subito dalle basi: cosa fa esattamente un produttore esecutivo? Come spiegheresti il tuo lavoro ad una persona estranea a questo mondo?
Sai che mia madre ancora non ha capito che lavoro faccio? In poche parole direi così: “Quello che faccio è cercare di mettere in ordine le idee di alcuni pazzi (i registi). Nel farlo perdo un sacco di soldi, vengo insultato da chi non pago puntuale e a mia volta inseguo chi deve pagare me. La sera però, quando mi metto a letto e fisso il soffitto, immagino delle cose, ed è lì che inizia il mio film. Il giorno dopo mi sveglio e cerco di portarlo nel mondo reale, felice perché faccio il lavoro che amo”. Questo è essere produttore, dedicare la propria vita a realizzare progetti frutto di idee tue o di altri per far sognare il pubblico, curando tutta la parte organizzativa dalla A alla Z. Tutto questo sperando che la tua compagna non ti lasci.
N: Sei cresciuto in una famiglia in cui l’arte, e il cinema in particolare, erano di casa. Quanto ha contato questa influenza nella tua formazione? Mi chiedevo se il cinema avesse avuto un ruolo centrale nella tua vita già dall’infanzia. Ti sei avvicinato a questo mondo attraverso la tua famiglia fin da piccolo o la passione nei confronti dell’audiovisivo è un interesse che hai maturato nel tempo?
I miei bisnonni erano i proprietari del cinema del mio paese di origine in Puglia, Ascoli Satriano. Quel cinema ha influenzato poi i miei zii, tutti mezzi artisti, registi e poeti pazzi. A Natale eravamo in 50-60 persone in mezzo al caos: chi diceva poesie, chi cantava, chi recitava. Mettici poi il sangue Brigante del Vulture ed essere figlio di un ufficiale dei carabinieri, insomma sicuramente c’è dell’arte nelle vene, ma anche rigore e ribellione. Il primo film che vidi al cinema fu Jurassic Park (io sono dell’86), prima non ci ero mai andato perché abitavamo in un paese del nuorese in Sardegna, quindi sono arrivato tardi al cinema in sala. Insomma, sto là che guardò il T-Rex che corre e mi chiedo come sono riusciti a farlo, rimango affascinato dal dietro le quinte, dal processo organizzativo di quel film. A 16 anni faccio il classico tema “cosa vuoi fare da grande” e scrivo “il produttore come Dino De Laurentis”, già avevo le idee chiare – per la gioia di mio padre che mi vedeva con la divisa -. Poi rimasi folgorato da piccolo dagli spettacoli di David Copperfield. Ricordo che insieme a mio fratello restavamo svegli la notte per vedere in diretta lui alle cascate del Niagara che cercava di rifare Houdini. Così mi sono appassionato anche alla magia, per questo firmo alcuni lavori con Abracadabra, credo che magia e cinema siano collegate. Prima dei cinema c’erano gli spettacoli degli illusionisti nei teatri del mondo, erano loro i registi. Noi siamo i maghi di oggi.
N: Hai iniziato lavorando alla Taodue con Pietro Valsecchi per poi fondare Factotum Art e dare vita al progetto Action Lab, ma ancora prima hai lavorato come autista sui set fin da giovanissimo. Insomma, ti sei formato sul campo. Secondo te oggi può aver senso una formazione di tipo accademico, magari con indirizzo economico, per arrivare poi alla produzione audiovisiva? Oppure l’esperienza diretta nel settore rimane ancora oggi la soluzione migliore?
Sicuramente oggi per fare produzione bisogna avere anche delle competenze di natura economico finanziaria. La produzione nel tempo si è evoluta, anche con l’istituzione dei vari Tax Credit, bandi e altre gare che prevedono determinate competenze. Molti commercialisti oggi si fanno chiamare produttori, perché fanno giri di Tax credit e altro ma poi magari nemmeno conoscono i ruoli di un set. Per me imparare il mestiere di produttore passa necessariamente dai set e dal freddo nelle ossa di qualche notturna a gennaio. La mia gavetta in Taodue oggi è irreplicabile, molti stagisti che passano da noi alla Maestro fuggono alle prime difficoltà, figuriamoci se applicassimo su di loro quello che hanno fatto a me. In ogni caso, che si tratti di accademia o set, senza una passione vera non riuscirai mai in questo mestiere, devi capirne l’essenza e la missione. Grazie a dio fare produzione è auto eliminante e molti mollano.
N: Nel 2015 nasce la Maestro, la tua casa di produzione, con cui avete da subito iniziato a dedicarvi al video musicale. Cosa ti ha spinto verso il videoclip?
Mi ha spinto il caos che c’era. Avevo intravisto la possibilità di mettere ordine, di educare i registi applicando il metodo del cinema. Quando ho iniziato c’erano registi che giravano 23 ore di seguito, in modo molto improvvisato, con i cantanti che fuggivano stremati. Infatti noi abbiamo poi stretto rapporti continuativi solo con registi che avevano un modo di lavorare intelligente, mirato alla qualità più che alla quantità stile Corazzata Potemkin, dove invece di fare casting seri si cercava tra cugini e nipoti figuranti e protagonisti. Poi mi piacevano le sfide, mi sentivo stimolato. Quando abbiamo iniziato qualcuno mi disse: “lascia perdere, è un settore chiuso, voi siete il Frosinone e quegli altri la Juventus”. Chissà oggi che squadra saremmo per quella persona.
Alessio Rosa: Il 2020 è stato un anno molto duro per tutti. Il settore musicale rischia di trovarsi davvero in ginocchio senza le entrate dei live e di conseguenza anche per voi, che avete etichette e artisti come principali clienti, non deve essere semplice. Puoi farci una fotografia del momento attuale e una previsione per i prossimi mesi?
Sicuramente le case discografiche hanno vissuto e stanno vivendo tuttora un momento difficile a causa dei mancati incassi provenienti dai live, ma devo ammettere che hanno tenuto botta e stanno continuando a investire nella produzione di video, secondo me anche perché hanno sentito la responsabilità di intrattenere le persone in quarantena.
A: A livello di produzioni audiovisive e set, come è stata gestita l’emergenza Covid-19 in Italia secondo te?
Io ho discusso ferocemente a inizio lockdown per alcuni protocolli che erano stati imposti da alcuni organi “competenti”, scritti sicuramente da persone che non avevano mai messo piede su un set. C’era una confusione enorme ma dovevamo girare, quindi ad aprile ci siamo armati di coraggio, tute da astronauti, mascherine, guanti e posso dire che siamo stati i primi a premere rec mettendo in pratica un protocollo sostenibile. Sentivo il dovere di tenere in moto la macchina per tutti i nostri ragazzi che non avrebbero ricevuto aiuti dallo stato. Ad oggi ho speso una cifra enorme in tamponi e materiale sanitario che lo stato nemmeno mi converte in credito d’imposta a fine anno, e basterebbe anche solo questo per aiutare tutte le case di produzione. Ho contratto il Covid-19 tempo fa, sono stato contagiato da un artista in maniera davvero sfortunata, ma l’ho preso facendo il mio lavoro e, nonostante i primi 20 giorni siano stati molto difficili con sintomi forti, la situazione è poi migliorata e sono riuscito a portare avanti il lavoro da casa. Non potevo fermarmi, per me e per i miei ragazzi. Il Covid-19 è una brutta bestia, non esiste un luogo sicuro al 100% anche applicando protocolli rigidissimi, ma non possiamo avere paura e dobbiamo continuare a realizzare prodotti che aiutino le persone a volare con l’immaginazione fuori da una quarantena o un lockdown.
A: Seguendoti su Instagram abbiamo scoperto la tua passione per la cucina (a proposito: come diavolo sei finito a spadellare pasta in uno spot Barilla?), per cui mi viene da chiederti: quali sono gli ingredienti giusti per un buon Videoclip?
Il mio Maestro, Sergio Rubini, ha diretto uno spot per Barilla e mi ha voluto come attore perché per lo spot ha chiamato solo amici storici. È stato divertente spadellare al posto dello show cooking! Il videoclip, per venire alla domanda, è come una carbonara: quattro ingredienti all’apparenza semplici, ma se non li sai amalgamare esce la frittata. Per me l’ingrediente fondamentale è il cuore, se non ce lo metti poi si vede. Si vede quando fai mezzanotte in ufficio per preparare le ultime cose prima del set, si vede nella troupe che deve essere parte del progetto, e questo cuore deve anche soffrire. Io lo dico sempre, senza sofferenza non si fanno bei videoclip. Se torni a casa riposato vuol dire che non hai dato tutto te stesso sul set. Anche una semplice stanchezza mentale può voler dire hai fatto il tuo dovere. Giochiamo in serie A e non possiamo permetterci errori, quindi la concentrazione è sempre al massimo.
N: Il budget è sempre un tema dolente quando si parla di videoclip. Dietro grandi budget ci sono spesso molte responsabilità da gestire, di conseguenza pressioni e limitazioni per i registi, soprattutto quelli più integralisti che hanno molto a cuore le proprie idee. D’altra parte invece video indipendenti e low budget offrono maggiore libertà ma vanno incontro a limiti di produzione. Dove sta il giusto equilibrio, se ne esiste uno? Esiste una via di mezzo o il compromesso è sempre inevitabile?
Io parto sempre da una riflessione che riguarda appunto la distinzione tra etichette indipendenti e major, dunque tra big budget e low budget: nessun videoclip è facile da realizzare. Avere a disposizione grosse somme di denaro significa anche assumersi grandi responsabilità, con la diretta conseguenza di dover soddisfare moltissime esigenze di tante figure professionali che entrano in gioco. È sicuramente vero che l’approccio low budget ti consente di avere maggiori libertà creative e, se vogliamo, prendersi maggiori rischi ed esser sfrontati, ma alla fine dei conti devi anche riuscire a pagare le bollette a fine mese. La reale distinzione dunque sta nella responsabilità di cui ti fai carico, dove in un progetto big budget ci sono degli investimenti che devono essere soddisfatti, con tante figure professionali di cui bisogna tenere conto, mentre in un video low budget sei sicuramente soggetto a minori pressioni e puoi permetterti delle libertà che altrove ti sogni. Per fare un esempio concreto, tempo fa sono usciti due video più meno contemporaneamente, uno è stato realizzato per Elodie da Maestro rispettando qualsiasi regola di protocollo immaginabile, e con non poche difficoltà, mentre un altro lavoro ha creato un assembramento che noi non ci saremmo potuti nemmeno sognare, ci avrebbero bloccato tutto e saremmo incorsi in sanzioni salatissime. Diciamo quindi che le responsabilità delle produzioni big budget vanno poi a compensare gli investimenti che mancano nel low budget. In tutto questo poi io mi ritengo maggiormente chiamato in causa perché la responsabilità diretta della riuscita di un videoclip ricade sulla casa di produzione, non sul regista. Perciò non è mai facile, in entrambi i casi.
A: Parlando di compromessi, visto che insieme a Borotalco vi spartite una buona fetta del mercato italiano, come cerchi di coniugare quantità e qualità?
Sinceramente non sto a contare i lavori, ma nel 2019/2020 abbiamo fatto praticamente tutti i big del mercato, tranne poche eccezioni. Se vai sulla nostra playlist su Spotify puoi vedere il numero di lavori fatti dal 2018 ad oggi. Io ringrazio il cielo che ci sia anche Borotalco perché per noi sarebbe impossibile realizzare tutti i videoclip, e la competizione comunque ha fatto alzare l’asticella. All’inizio del lockdown ho creato una chat, ci sono dentro registi, DoP e anche i nostri “rivali” della Borotalco. È stato divertente, ci siamo tenuti compagnia e abbiamo anche avuto occasione di confrontarci sui temi importanti di questo mercato. La chat si chiama “Setta del videoclip”, perché davvero solo dei pazzi possono fare videoclip. Fortunatamente non c’è solo il promo, negli ultimi tre anni abbiamo dato il via all’avventura della serie tv New School, ormai giunta alla terza stagione e oggi presente su Netflix. Abbiamo strutturato il team in maniera da poter gestire 3-4 videoclip in contemporanea con le riprese della serie. Per fare la guerra, ma soprattutto per vincerla, servono le persone giuste, quindi non ci spaventa fare più progetti contemporaneamente.
N: Nella tua carriera come produttore di videoclip hai avuto modo di lavorare a un’infinità di progetti, alcuni dei quali anche all’estero con produzioni significative. Penso a Lunedì di Salmo o a La tua canzone di Coez . Puoi raccontarci di queste esperienze e di quali sono le differenze con le produzioni nostrane? Qualche aneddoto da raccontarci?
A vent’anni anni vado a fare capodanno a Sofia con amici, il tipico viaggio baldoria. Per una serie di eventi finisco per conoscere una persona che lavorava nel cinema locale che mi fa vedere gli studios Nu Boyana. Mi sembrava di sognare, una New York ricostruita perfettamente, così gli prometto che sarei tornato prima o poi per realizzare un mio progetto. Beh, dopo 13 anni l’ho fatto e ho conquistato la fiducia degli studios Bulgari. Per il video di Salmo, Lunedì, siamo riusciti ad avere un carro armato funzionante che aveva appena finito di sparare nella guerra civile in Ucraina. Di racconti di video all’estero ne ho tanti, ma ancora ho negli occhi i narcos di Città del Messico che entrano in una chiesa piena di scheletri per “matare” un rivale mentre noi giravamo proprio lì con YouNuts!, in un santuario della Santa Muerte nel peggior quartiere della città. Il resto è leggenda, ma ve lo racconterò di persona davanti a una birra magari. Comunque all’estero è tutto più “big”, ma ci accomuna in tutto il mondo il linguaggio del set, da New York a Sofia fino a Città del Messico. Le troupe parlano tutte la stessa lingua.
N: Restando in tema Italia ed estero ho avuto modo di notare che fuori dai confini nazionali esiste una sorta di percorso che accomuna la maggior parte dei registi. Mi riferisco al fatto di avere come obiettivo quello di firmare con una casa di produzione per diventare parte del loro roster. Un regista esordiente si pone quindi come obiettivo quello di essere rappresentato da una casa di produzione come punto di partenza della sua carriera professionale. In Italia le cose sembrano essere diverse e i modi in cui si arriva a lavorare per produzioni e artisti di rilievo sono svariati. Che consiglio daresti a un regista esordiente per farsi notare? Qual è il giusto percorso da seguire?
Il concetto di Roster mi è molto caro, Maestro ha il suo roster di registi di fiducia, con cui creiamo un percorso e fidelizziamo. Questo ci permette di pianificare meglio e soprattutto trovare una sintonia. Un regista esordiente per farsi notare deve fare prodotti interessanti anche con poco e proporsi, e noi gli diamo un’opportunità. Ne abbiamo date tante nel tempo, c’è chi le ha colte e chi ha fatto disastri, ma può succedere, è parte del percorso e lo capiamo. Noi siamo alla continua ricerca di giovani registi, come anche DoP, scenografi e tutti gli altri ruoli che operano nell’industria. Giovanni Veronesi, che è stato un altro dei miei maestri, mi ha sempre detto che bisogna essere manager di sé stessi, dunque oltre al talento devi anche saperti vendere.
N: Dirigere un video all’estero significa prima di tutto fare il pitch del progetto attraverso un treatment e avere la meglio su altri contendenti. Una procedura che prevede figure professionali in Italia sconosciute, come ad esempio il Treatment & Visual Research designer. Qui vige un modus operandi decisamente più caotico. Potresti spiegarci come nasce un videoclip? Che ruolo ha l’artista e l’etichetta discografica sulla decisione dei ruoli e della creatività? Quali dinamiche intercorrono tra casa di produzione, etichetta discografica, artista e registi nella produzione di un video?
In Italia in effetti queste figure professionali ancora non esistono. Quando abbiamo iniziato anche noi abbiamo avuto qualche difficoltà a capire le dinamiche di produzione, questo perché prima le case discografiche contattatavano direttamente i registi e prendevano accordi con loro. Questo approccio risultava spesso sbagliato perché i registi, non avendo competenze produttive, garantivano sulla riuscita di progetti che in realtà si rivelavano irrealizzabili. Ad oggi le cose sono cambiate e le case di produzione giocano un ruolo centrale nel rapporto tra casa discografica e registi. Io stesso entro in gioco in veste di account della Maestro diciamo, intrattenendo rapporti con i manager degli artisti e i dirigenti delle case discografiche. La casa di produzione sta cominciando a essere il punto di riferimento delle case discografiche quando si parla di produrre un videoclip per un artista. Dopo diverso tempo ci siamo guadagnati la loro fiducia, per questo ci capita spesso di essere contattati anche per consulenze riguardo artisti emergenti da lanciare, in modo da capire insieme chi possa essere il regista adatto a dirigere il videoclip. In questo caso proponiamo noi un pacchetto alla casa discografica per sviluppare un progetto che possa mettere le basi per un percorso da iniziare insieme. Un altro caso invece è quello in cui tra artista e regista esiste già un rapporto storico, come potrebbe essere tra Salmo e YouNuts! per esempio. In quel caso parlano di creatività da subito già tra loro, ma devo comunque entrare in gioco io successivamente per capire se il progetto è realmente fattibile. Ad oggi i percorsi sono sostanzialmente questi due.
A: C’è qualcosa di molto internazionale però a livello stilistico con la Maestro. Mi sembra infatti che, come accade con certe grosse case di produzione estere, i vostri video abbiano uno stile che li accomuna, un look simile che li contraddistingue, anche quando sono diretti da registi diversi. Questo sicuramente è influenzato dalle costanti collaborazioni con DOP, colorist, montatori e così via. Ma mi chiedevo quanto fosse ricercato, insomma se dietro questo ‘stile Maestro’ non ci sia la tua mano, magari anche inconsciamente?
Come dicevo prima, sicuramente venendo da una formazione cinematografica mi sono legato a figure che hanno quel tipo di esperienza e ho portato i miei fornitori di cinema nel videoclip. Anche il fornitore, come un “costruttore di scenografie” o l’azienda che ti noleggia l’attrezzatura “da cinema”, contribuisce ad alzare la qualità della produzione. Io mi ritengo un produttore alla vecchia maniera, mi piace entrare nella parte artistica, confrontarmi con i registi, partecipare alle call con gli artisti, un po’ come dovrebbe essere insomma. Non mi limito ad essere solo un bancomat. In America l’Oscar per il miglior film lo ritira il produttore, in Italia il David di Donatello per il miglior film lo danno al regista. Nulla togliere ai registi, ma Tarantino è Tarantino anche grazie all’apporto visionario del suo produttore esecutivo, senza il quale non farebbe film. Diciamo che il regista immagina l’asino che vola, però poi sono io che quell’asino lo devo render reale riuscendo a interpretare i gusti del regista, altrimenti il film non viene fuori come dovrebbe. Per rispondere alla tua domanda direi che più che la mia mano nei nostri video c’è la mia pazzia nel dare retta alla visione dei registi con cui collaboriamo. Puoi chiedere a YouNuts! o Bendo, spesso pur di superarci ci ho anche rimesso di tasca mia. Lunedì senza il carro armato non è Lunedì!
A: All’estero uno dei temi caldi è sicuramente quello della cosiddetta “inclusivity” (quote rosa le chiamano da noi). Ecco, qua in Italia se ne parla assai meno eppure la situazione non è affatto idilliaca, anzi. Giusto per fare un esempio, tempo fa ho notato che tra i video finalisti del PIVI, tra una sessantina di registi, le donne saranno si e no 5 o 6, e quasi sempre in coppia o in gruppo con registi uomini. E questo per non parlare di altri ruoli, come la direzione della fotografia ecc. In quanto una delle principali cdp italiane nel settore videoclip, alla Maestro potete giocare un ruolo importante in questo senso. Volevo chiederti cosa ne pensi e se state cercando di attuare delle politiche produttive che portino ad avere più figure femminili sul set e in regia.
Maestro è più “rosa” di quanto si pensi, moltissime organizzatrici dei miei progetti sono donne cazzute e bravissime. Inoltre collaboriamo anche con diverse registe, per dirne una Martina Pastori, che è tra i registi più talentuosi in ambito videoclip in Italia. Io sinceramente non me ne accorgo neanche, nel senso che non faccio distinzioni, ma ti assicuro che ad oggi in Maestro il 70% sono donne. Non per un fatto voluto, è semplicemente casuale, chi merita va avanti e spesso si tratta di donne, forse perché hanno un metodo organizzativo più efficiente, ma non è cercato, si tratta sempre di semplice merito.
A: Tempo fa sui vostri canali social avete lanciato un concorso per produrre il video di un artista emergente. Puoi spiegarci di cosa si tratta?
Durante il primo lockdown ho voluto creare qualcosa per aiutare i giovani artisti ad emergere, quindi è nata l’idea di un contest con il quale premiare il miglior pezzo inedito con la produzione a spese nostre di un videoclip diretto da You Nuts! Ora ci siamo un attimo fermati perché al momento del lancio io ho contratto il Covid-19, quindi abbiamo spostato il termine più avanti. Ad oggi, senza promozione di nessun tipo, siamo a circa 80 inediti raccolti da tutta Italia, estero, di artisti di tutte l’età.
N: Mi dici tre videoclip che ti hanno fatto innamorare di questo mestiere? E se potessi scegliere tra qualsiasi artista, di chi vorresti produrre un videoclip?
Uno e uno soltanto: Smack my bitch up dei Prodigy, che regolarmente Youtube censura, ma fortunatamente c’è sempre qualcuno che lo ricarica. La versione senza censura è ormai quasi introvabile (e invece, ndr). Semplicità, follia, genialità e finale da paura, ma soprattutto il video si sposa perfettamente con il brano. Io sono un rocker, amo il rock, purtroppo in Italia è quello che è, quindi ti direi un videoclip per i Guns ‘n’ Roses. Sarebbe un sogno, ma intendo proprio poter tornare nel ‘89 per farlo. Videoclip incredibili i loro!
N: Un po’ di tempo fa guardavo la shortlist dell’ultima edizione dei Berlin Commercial Awards e ho notato che tra decine e decine di video, forse centinaia, nemmeno uno provenisse dall’Italia. Cosa manca al videoclip italiano per poter competere su scala internazionale?
È probabile che i nostri video non siano spinti nel modo giusto dalle case discografiche in questi contest. Dovremmo prima di tutto fare un grande festival di videoclip qui in Italia, perché in Europa lo fanno tutti. Per me ci sono video italiani di assoluto valore che possono competere anche all’estero. Qui manca una cosa fondamentale, ovvero l’appoggio del ministero della cultura ai videoclip, un prodotto che ancora non viene riconosciuto per il tax credit e altre cose che sarebbero davvero importanti. Prima che scoppiasse l’emergenza Covid-19 il ministro Franceschini aveva dichiarato di aver fatto un tavolo con i maggiori esponenti italiani dell’ambito videomusicale per avviare il tax credit anche in questo settore. Né io né qualcuno della Borotalco è stato chiamato a quel tavolo, quindi non capisco con chi l’abbiano fatto.
N: E come vedi il futuro del videoclip in Italia? C’è qualche nome in particolare tra i giovani che dovremmo tenere d’occhio?
I videoclip si continueranno a fare, emergeranno nuovi registi, magari io non produrrò più video e farò altro, ma sicuramente il livello continuerà a salire, solo così renderemo onore a quello che facciamo. Se però pensate di fare videoclip per diventare ricchi lasciate perdere. Tra i nomi interessanti del panorama nazionale direi sicuramente Vicari, Catapano, Barbiero. Poi qualcun’altro che non dico altrimenti me li fregano!
A: Concludiamo chiedendoti che cosa state producendo con Maestro nell’ultimo periodo oltre alla solita tonnellata di videoclip? E cosa pensi vi riservi il futuro: cinema, televisione, pubblicità?
Abbiamo finito da poco uno spin off della nostra serie New School, si chiama Whatsanna e sta andando molto bene su Sky. A settembre giriamo una nuova serie tv e abbiamo appena ultimato il progetto di un’altra nuova serie da presentare a Netflix e Amazon in cui crediamo molto. Si tratta di una serie in cui la musica sarà protagonista. Poi uscirà un progetto per la Rai di cui sono orgoglioso con la nazionale di calcio, mio nonno che sentiva le partite dell’Italia alla radio ne sarebbe felice. Un film per il cinema spero di poterlo fare presto, ho la storia nel cassetto fin dal liceo, ma lo farò solo quando riapriranno i cinema e si tornerà alla normalità. Proprio ieri sera ho deciso di rilanciare qualcosa che avevo per un momento messo da parte, la Maestro Academy. Continueremo a cercare di rendere l’ordinario straordinario, Abracadabra!