Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Bienvenido, Mister Marshall è il primo film diretto in solitaria da Luis Berlanga, dopo la co-direzione con Juan Antonio Bardem (zio d’arte di Javier) di Esa pareja feliz. Siamo nel 1952 e la Spagna, malgrado non avesse preso parte al secondo conflitto mondiale, è anch’essa in fase di ricostruzione sulle ceneri della sanguinosa guerra civile che portò Francisco Franco al potere. In un paesino vicino a Madrid, una piccola comunità ha sentito che stanno per arrivare gli americani e si prepara ad accogliergli nel miglior modo possibile, illudendosi che questi potranno portare, grazie appunto al “Piano Marshall”, molto denaro e un futuro migliore. Non essendo però entrati in guerra, la Spagna non fa parte di coloro a cui questi soldi sono destinati. Così gli americani passeranno in velocità, senza nemmeno salutare, portandosi velocemente via le illusioni e mettendo in crisi il piccolo paesino che si era indebitato negli onerosi preparativi per l’accoglienza.
Italia, gennaio 2021. In attesa del denaro che dovrebbe arrivare dal “nuovo Piano Marshall” europeo, si decide che è il momento per far nascere una crisi di governo proprio a causa di una differenza di vedute sulla gestione di tale fondo. Una crisi di governo ancora prima che i soldi siano arrivati. Una crisi nel momento in cui il Paese si sta indebitando come mai nella sua storia. Una crisi di governo in piena pandemia. Ecco, nel finale di Bienvenido, Mister Marshall ad ogni membro della comunità viene chiesto qualcosa per poter far fronte all’indebitamento: chi non può contribuire con dei soldi, partecipa donando un paio di galline, un sacco di patate o qualche oggetto che possa avere un qualche valore. E cosa accadrebbe se non si riuscisse a sfruttare nel migliore dei modi il Recovery Fund, come nel caso per esempio di non avere un governo che possa gestirlo? Preparate i sacchi di patate e, chi le ha, qualche gallina, ma non credo che questa volta ce la caveremo così facilmente.
Probabilmente stiamo esagerando. Abbiamo solo uno dei governi più deboli della storia repubblicana nel momento più difficile della storia repubblicana. Cose da far rimpiangere i tempi di Berlusconi e le soluzioni economiche di Tremonti. Eppure non dobbiamo sottovalutare la classe politica contemporanea. Proprio questa fase di crisi governativa ci ha fatto scoprire e riscoprire il valore di tanti personaggi al centro della nostra cara e funzionale democrazia. Come non apprezzare la poesia di un Andrea Cioffi che paragona il suo atto di fiducia a Giuseppe Conte al “ciclo del glucosio” . Oppure l’umiltà, tipicamente renziana, di uno dei grandi tessitori della situazione politica attuale, ovvero quel Ettore Rosato autore della legge elettorale e grande diplomatico. E poi i grandi classici che tornano di moda grazie all’arte del reinventarsi in situazioni diverse. Per esempio Clemente Mastella che tira fuori dal cilindro la polemica con Carlo Calenda oppure i socialisti, chiamati in causa dallo stesso Conte nel suo discorso sia alla Camera che al Senato, che improvvisamente risorgono proprio nel giorno del ventunesimo anniversario della morte dell’amato Bettino Craxi.
Dalle “ceneri di Gramsci” nasceva la politica del partito comunista ai tempi di Pasolini. Dalle ceneri di Renzi – che, ricordiamolo visto che a volte ce lo scordiamo, è stato il segretario del partito più importante della “sinistra” italiana – nasce la nuova grande Democrazia Cristiana dei tempi moderni. C’è spazio per tutti: la Binetti e il suo cilicio, socialisti, mastelliani e pure ex fascistoidi del sedicente “sindacato di destra” come Renata Polverini. C’è pure Mariarosaria Rossi, una che fu fedelissima di Berlusconi tanto da aver partecipato al mitico videoclip di Meno male che Silvio c’è, oltre che essere una presenza fissa delle “cene eleganti” ed aver avuto il soprannome de “la badante” (di Berlusconi, ovviamente). E poi, vabbè, anche il prossimo e competentissimo ministro dell’agricoltura Lello Ciampolillo. Insomma, fu fatta tanta ironia su Razzi e Scilipoti, ma il “giro giusto” della politica italiana non cambia poi di tanto con il passare del tempo e delle legislature.
Era esattamente un anno fa quando ci trovammo a scrivere di Bugo. Nell’ambito del festival dei fiori, raccontammo l’ultimo atto anormale di un mondo ancora normale. Poi fu il diluvio. Ma Bugo non fu profeta di sventura solo in quell’occasione. Infatti nell’aprile del 2008 esce il singolo C’è crisi che anticipa di qualche mese la grande recessione mondiale che scoppia nell’autunno dello stesso anno. La canzone in realtà è abbastanza generica e allude più che altro al vociare della gente, alla retorica stessa dell’utilizzo della parola “crisi”.
Però, vista la tempistica dell’uscita, non poteva di certo non diventare la colonna sonora di quell’anno e anche degli anni avvenire. Il videoclip diretto da Lorenzo Vignolo ci immerge dentro una lavatrice, o meglio dentro una lavanderia che si fa specchio rotante di una società statica nella sua impossibilità nell’affrontare un momento difficile: anche il video è a suo modo profetico. In ogni caso, malgrado Bugo sia quello che ci raccontava le sue disavventure nel calpestare una merda, cosa che dovrebbe portare fortuna, non possiamo non notare la tempistica sia per la crisi del 2008 che del suo exploit con Morgan nel 2020 e tutto quello che è avvenuto poi. Una domanda allora sorge spontanea: ma non sia che Bugo porti sfiga? E tutto questo in attesa del prossimo capitolo sanremese, visto che Bugo è stato annunciato tra i partecipanti. Riuscirà questo 2021 ad essere peggiore dell’anno appena passato? Sicuramente ci sta provando e questa crisi di governo lo sta confermando: Bugo sarà la cartina tornasole di quello che ci aspetterà nei prossimi mesi.