A cavallo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio, David Bowie era fin troppo famoso per poter essere trattato come Mike Bongiorno liquidò John Cage nel 1959. John Cage che già all’inizio degli anni ’50 aveva creato il suo mitico 4’33’‘ ed era un artista acclamatissimo nella scena dell’avanguardia americana.
Conosciuto ma allo stesso tempo squattrinato, e proprio per questo si trovò quasi misteriosamente a partecipare a Lascia o raddoppia, vincendo poi il premio di 5 milioni di lire in quanto “esperto di funghi”. Ma oltre che in veste di concorrente riuscì a proporre qualche frammento delle sue composizioni, una musica che di certo uno come Mike Bongiorno non avrebbe mai potuto capire. Di fatto, dopo la sua ultima risposta corretta che lo porterà alla vittoria, il Mike nazionale commentò così:
“Bravissimo, bravo bravo bravo bravo. Bravo bravissimo, bravo Cage. Beh insomma, il sig. Cage ci ha dimostrato indubbiamente che se intendeva di funghi, perché con le domande che gli abbiamo fatto questa sera c’era di che sudare. Quindi non è stato solo un personaggio che è venuto su questo palcoscenico per fare delle esibizioni più o meno strambe di musica strambissima, quindi è veramente un personaggio preparato. Io lo sapevo perché mi ricordo che il sig. Cage ci aveva detto che abitava nei boschetti nelle vicinanze di New York e che tutti i giorni andava a fare passeggiate a raccogliere funghi, ed ecco dove ha imparato la sua materia.”
Per poi chiedere a Cage se adesso tornasse in America o restasse in Italia ancora un po’, ribadendo ancora una volta il suo punto di vista sul grande musicista americano: “Ah, lei va via e la sua musica resta qui, ma era meglio che la sua musica andasse via e lei restasse qui.” (e qui è ben raccontata in dettaglio la storia di John Cage a Lascia o Raddoppia).
Ecco, Bowie era troppo conosciuto e la sua musica troppo “commerciale” e “orecchiabile” per poter essere trattato in questo modo dalla televisione italiana. Ma chissà cosa avrà pensato lo stesso Mike Bongiorno quando si trovò a presentarlo sul palco di Sanremo nel 1997. E il nostro Mike ci prova pure a introdurlo a suo modo dicendo che si tratta di “un grande cantante… l’unico cantante al mondo quotato anche in Borsa”.
Ma Bowie non gli concede il tempo per un’intervista, nemmeno per qualche domanda veloce, e così come era entrato se ne esce dal palco finita la canzone. E chissà davvero cosa passava per la testa a Mike nell’ascoltare Little Wonder, una canzone dall’anima sperimentale e influenzata dalla musica techno, con la quale Bowie si reinventava ancora una volta anche grazie alla collaborazione con Trent Reznor e i suoi Nine Inch Nails che portò al mitico tour dell’anno precedente. Una canzone così diversa sopratutto dal “gusto sanremese” dell’epoca, in un’edizione che, ricordiamolo, fu quella della vittoria dei Jalisse…
In ogni caso il rapporto tra Bowie e l’Italia è sempre stato molto strano. A partire dal 1969 e da quella Space Oddity che, malgrado il grande successo internazionale, in Italia non riuscì a sfondare. Ecco spiegato il motivo del tentativo di riproporla in una versione italianizzata. Venne chiamato sua maestà Mogol per tradurne il testo e a Bowie dato l’onere di doverla cantare in una lingua a lui del tutto sconosciuta. Così nel 1970 esce Ragazzo solo, ragazza sola, con un testo che non ha nulla a che vedere con quello originale, anche se la leggenda vuole che Bowie fosse assolutamente convinto di star cantando una traduzione fedele del suo brano.
Sette anni dopo a questa registrazione Bowie è già in un’altra fase della sua carriera. Vive in Germania e, assieme a Tony Visconti e Brian Eno, sta cambiando la storia della musica elettronica facendo uscire il secondo capitolo di quella che diventerà la sua trilogia berlinese (Low 1977 / “Heroes” 1977 / Lodger 1979).
In occasione della promozione di quell’album e sopratutto di quel singolo, si trova per la prima volta alla televisione italiana nell’ottobre del 1977 in uno speciale che gli viene dedicato da Odeon su Rai 2: un breve reportage, una performance di Heroes (fumandosi una sigaretta) e un’intervista. Tra questo speciale e la sua seconda comparsa alla tv italiana, ovvero l’apparizione a San Remo, passeranno 20 anni esatti. E Bowie non si è mai esibito in concerto in Italia fino alla fine degli anni ’80, sembra per colpa dell’amico Lou Reed che lo spaventò dicendo che nel nostro Paese i concerti erano “un vero casino” e si rischiava sempre “di mettere a rischio musicisti e pubblico”. Eppure, malgrado questo rapporto “strano” tra Bowie e l’Italia, sarà proprio Firenze la località scelta per il suo matrimonio il 6 giugno del 1992 con Iman Addulmajid (che sarà la sua compagna di vita fino alla morte).
Bowie comincia a suonare in Italia dal 1987, inserendo regolarmente fino al 2003 qualche tappa dei suoi tour nel nostro Paese, anche se sempre in numero molto limitato, soprattutto da Hours (1999) a partire dal quale c’è spazio per una sola data a tournée.
E le comparsate in televisione sono ancora più sporadiche e tutte concentrate tra il 1997 e il 2002 (tranne, appunto, quel piccolo documentario-intervista del 1977). Sempre in questo lasso di tempo avviene anche la sua unica apparizione nel cinema italiano, esattamente nel 1998 nel film Il mio West di Giovanni Veronesi, in curiosa compagnia di Leonardo Pieraccioni, Harvey Keitel e Alessia Marcuzzi.
Per quanto riguarda le sue altre apparizioni in televisione, due sono a Quelli che il calcio e una in Francamente me ne infischio. La sua ultima in assoluto è con Simona Ventura nel 2002 nell’ambito del tour promozionale di Heathen: un’impassibile Bowie, uno che ne ha viste tante, di fronte all’estremo atto di prostrazione della conduttrice ai suoi piedi. Con la chiusura sempre impeccabile di Gene Gnocchi che gli chiede “il favore” di salutargli Frank Black dei Pixies (una delle due canzoni cantate da Bowie in quell’occasione era una cover di Cactus dei Pixies).
La prima a Quelli del calcio è comunque del 1999. Il conduttore è Fabio Fazio che, con il suo solito stile paraculo, elogia Bowie in maniera non diversa da come avrebbe elogiato una Orietta Berti, un Albano Carrisi o un qualsiasi personaggio più o meno famoso gli sia capitato d’ospitare nella sua carriera. A vederlo oggi è abbastanza inquietante il sentire, in sottofondo alla presentazione di Bowie, le note e il canto-lamento di una canzone di Claudio Baglioni. Ma al di là di questo, rappresenta l’intervista più “serena” del Bowie italiano, nella quale si lascia andare a diverse battute e molti sorrisi.
Ad un certo punto parla di sé stesso come di un’ “opera vivente”, cosa che fa sempre piacere nella patria di Carmelo Bene e del suo “essere capolavoro”. Ma sopratutto, inconsapevolmente incosciente, fa la pubblicità alle Malboro Light mettendo in panico il conduttore che poi nel finale dell’intervista, e bisogna ammettere in grande stile, cita Celentano in riferimento a quello che era successo qualche sera prima. Ovviamente Bowie non può cogliere la citazione.
Ed eccoci allora arrivare al momento chiave, all’indiscusso apice di David Bowie in Italia. In realtà tutto era cominciato nel migliore dei modi: un ipnotico Bowie cantando Thursday’s Child dal vivo (senza il playback tipico della televisione italiana), la canzone forse più rappresentativa e conosciuta dei suoi ultimi vent’anni di carriera e che, è giusto ricordarlo qui, fu accompagnata all’epoca da un promo molto efficace (diretto da Walter Stern).
Però il nostro caro Adriano Celentano, non certo nuovo a imbarazzanti e incomprensibili (per loro) scenette con cantanti stranieri, non poteva di certo fermarsi qui. Una serie di domande “alla Celentano” prima spiazzano Bowie e poi lo irritano, portando la situazione a una tensione davvero non immaginabile. Celentano esordisce con: “Secondo te c’è il futuro?” Già qui Bowie – ripeto: uno che ne ha viste tante – si è completamente perso e si sta chiedendo dove sia finito.
La seconda domanda, sempre in stile Celentano, si sposta sulla retorica della gente che muore di fame, alla quale Bowie, già leggermente infastidito dalla banalità discorsiva del suo interlocutore, tenta pure di rispondere. E poi la terza domanda, quella che spazientisce in maniera irreversibile Bowie, su come far cessare le guerre. Bowie davvero non crede a quello che sta succedendo e cerca di chiudere rapido con un “Non lo so, non sono la persona adatta a cui fare queste domande.” Ma Celentano non molla, nemmeno dopo che Bowie cerca di buttarla sull’ironia: “Ho qui Radio Mosca nel mio orecchio, ho Radio Mosca che interferisce” e poi “Te lo prometto, ti prometto che che non darò inizio a nessuna guerra”.
Celentano non capisce, prova a stare al gioco ma i due stanno giocando un gioco del tutto differente: è il preludio della fine. Uno stanco David Bowie dice “World Peace” stringendo la mano al conduttore ed è decisamente intenzionato a chiudere lì l’intervista, cercando di far capire al nostro Adriano la sua cialtroneria populista. Celentano è spiazzato. Aveva previsto un’ampia intervista e si trova l’intervistato che sta scappando.
Alla domanda “Tu pensi che ci vedremo in futuro?” arriva la secca risposta del cantante inglese che non lascia molti dubbi sull’opinione che si sta facendo del suo interlocutore: “Dato che ci siamo incontrati qui non è necessario che ci incontriamo in futuro”. Adesso è davvero finita. C’è solo il tempo per un piccola incomprensione linguistica e per la definitiva incazzatura di Bowie: “Ho parlato per tutta la sera, non fermatemi, state scherzando? Non sai neanche cosa vuol dire, non puoi neanche iniziare a parlare con me! Ti posso parlare anche sotto il tappeto!”
E così si conclude questo scontro tra titani, un rapido saluto e a mai più arrivederci. Questo era David Bowie quando lo si faceva arrabbiare parlando del nulla. Questa era la televisione che ci è toccato vedere nel nostro Paese. E, chiudendo con la seconda delle canzoni incise in lingua italiana, questo era il doveroso, anche se forse bizzarro, omaggio a David Bowie per i cinque anni dalla sua morte.