Con l’uscita del suo primo videoclip come regista, Sidelines (qui la nostra scheda), abbiamo pensato bene di contattare Andrea Gavazzi per un’intervista. Il direttore della fotografia nato in Brasile e di padre italiano, vive e lavora a New York, dove è molto richiesto soprattutto, ma non solo, nell’ambito videomusicale. Nel corso della chiacchierata ci ha raccontato della sua prima esperienza come regista e del suo percorso artistico.
Ciao Andrea, complimenti per il video! Niente male per un regista alle prime armi… Scherzi a parte si tratta della tua prima regia o avevi fatto anche altri lavori precedentemente? Com’è nata questa collaborazione con Gracie and Rachel?
Si è la mia prima esperienza come regista, negli ultimi sei anni ho lavorato esclusivamente come direttore della fotografia, ma questo progetto l’ho sentito mio dall’inizio ed è stata una bellissima esperienza. L’idea di fare il video è nata dal fatto che Gracie e Rachel erano alla ricerca di un regista per la loro nuova canzone, quindi ho proposto la mia idea dopo una lunga conversazione in cui volevo capire com’era nato l’album, la canzone e il loro progetto musicale in generale. Mi hanno raccontato che quando sono venute a vivere a New York otto anni fa sono state ospitate da Connie e Danny, amici di famiglia, e che Danny era venuto a mancare l’anno scorso, un evento che ha influenzato moltissimo la registrazione del disco.
Quale è stata la parte più difficile per te in questo lavoro?
Il video nasce da un’intervista di tre ore con Connie. Sicuramente la parte più difficile, perché parlare di qualcosa di così importante e traumatico come la morte della persona che ami mi spaventava. Volevo far si che si sentisse al sicuro nel parlare con me davanti a una macchina da presa, ma allo stesso tempo catturare il suo lato vulnerabile ed umano. Dall’intervista nasce tutto.
Dopo questo lavoro pensi di continuare con la regia o si è trattato di una deviazione di percorso e tornerei a concentrarti sulla direzione della fotografia?
Non escludo di continuare ma ho molti altri progetti come direttore della fotografia quindi al momento mi concentro su questo!
Nato in Brasile, cresciuto in Italia, di stanza a New York. Una traiettoria molto particolare. Come sei arrivato nella “grande mela” e come i tuoi due paesi di origine hanno influenzato la tua formazione?
Sono nato a Sao Paulo in Brasile, mio padre è figlio di emigranti italiani in Brasile, ho fatto avanti e indietro Brasile/Italia tutta la mia vita e alla fine ero stanco di entrambi per motivi diversi. Sono andato in Asia per nove mesi, vivendo in Vietnam per sei mesi, e ho deciso che avrei provato finalmente a lavorare nel cinema. Ho deciso di trasferirmi a New York perchè sono sempre stato innamorato della città, purtroppo in Italia e in Brasile non c’era spazio per me o comunque non conoscevo nessuno nell’ambiente e a quel punto mi sono detto che se devo cominciare da zero tanto vale farlo nel posto con la più grande industria cinematografica al mondo, gli Stati Uniti.
Che consigli ti senti di dare, invece, a dei giovani che stanno pensando di intraprendere qui in Italia il percorso di direttore della fotografia?
Il mio consiglio è di accettare che ci vuole tempo, essere pazienti e capire che non c’è una formula. Ognuno ha la propria storia e il proprio percorso da fare. L’unica cosa di cui sono convinto è che se non vivi questo lavoro come un’ossessione, un bisogno, se non te lo sogni la notte, allora è molto molto difficile riuscirci. Allo stesso tempo consiglio prima di vivere, fare esperienze, andare a fare un viaggio a piedi o in bicicletta, imparare altre lingue, fare lavori che non c’entrano niente con il cinema, parlare con degli sconosciuti per strada. Camminare intorno al tuo palazzo guardando le persone che passano è mille volte più importante che leggere 10 libri di fotografia.
La prima cosa che salta all’occhio scorrendo il tuo reel è la passione per la pellicola, il 16mm in particolare, che spesso si sposa bene con i tanti lavori d’ambientazione retrò o dallo spirito vintage a cui hai preso parte. Ti possiamo considerare un purista della pellicola oppure ti piace utilizzare anche il digitale e altri formati?
In realtà giro principalmente digitale ma sono molto selettivo su cosa condivido o metto sul mio sito. Accade che i progetti che ho girato in pellicola sono più interessanti di alcuni in digitale, ma non sono un purista. Sono solo strumenti. Quello che sta davanti alla macchina da presa è l’unica cosa che conta. Detto questo mi diverte molto girare in pellicola e aggiunge un senso di incertezza e rischio che mette tutti in riga sul set. C’è sicuramente qualcosa di magico nel non poter vedere quello che stai girando.
Certo bello la pellicola, la color, questo e quello. Ma tanto poi arriva YouTube e comprime tutto, talvolta mandando letteralmente all’aria ore e ore di lavoro. Quanto è frustrante per te vedere il tuo lavoro su YouTube?
Frustrante, ma per fortuna esistono Vimeo ed altri, che hanno una migliore compressione. Alla fine sono cose che notiamo solo noi dell’industria!
Dal tuo stile emerge con nitidezza un approccio cinematografico e, oserei dire, quasi barocco. Quali sono i film e i direttori della fotografia che più ti hanno influenzato?
Christopher Doyle, Robby Muller, Jean Yves Escoffier per iniziare ma ce ne sono talmente tanti che è impossibile fare un lista. Fotografia, cinema, arte, videogiochi, sono tutte fonti d’ispirazione.
In che modo si sono inseriti e si inseriscono invece i videoclip nella tua formazione e che influenza hanno avuto e hanno nel tuo stile?
I music video mi hanno dato la libertà di sperimentare e rischiare, cosa che nella narrativa è molto difficile all’inizio. Non so neanche se posso realmente determinare d’avere uno stile, dipende sicuramente dal progetto, dal budget e dal regista. Ma ci sono certamente elementi che si ripetono.
Come nascono e funzionano di solito le tue collaborazioni coi registi? Sono loro che ti cercano perché vogliono il tuo stile al servizio della loro storia?
Generalmente si, sono i registi che mi cercano. Alcune volte sono produttori con cui ho lavorato in passato che mi introducono al progetto. Altre volte grazie ad Instagram. Altre volte sono io che vedo un progetto che mi piace molto e scrivo al regista direttamente per prenderci un caffe e conoscerci.
In sede critica spesso si discute e giudica la fotografia in maniera banale. Secondo te, per sommi capi, da cosa bisognerebbe giudicare se una fotografia è buona o “cattiva”?
Non so se ci sono dei parametri, ma in generale nell’arte c’è qualcosa di universale e sublime che ci connette come esseri umani. Non bisogna studiare scultura per ammirare la Pietà. Non importa dove tu sia nato, cresciuto, educato, la lingua che parli etc. C’è qualcosa di inspiegabile nel bello che mette d’accordo quasi tutti. Poi ovviamente è una questione di gusto. Per me la fotografia è buona se serve la storia, il progetto e il regista e di conseguenza se rende il film migliore. Ci sono troppi film con una fotografia stupenda che peró non funzionano nel complesso.
Quali sono i tuoi film, videoclip e spot/branded content preferiti?
Qualsiasi film di Terrence Malick e Wim Wenders; come musicv Video ce ne sono tanti, ma recentemente Aigel – You’re Born; come pubblicità quella del nuovo Volkswagen Model 2.
Progetti futuri e sogni nel cassetto?
Spero di girare un film nei prossimi 2 anni, cosa che non ho ancora fatto e che spero succeda presto.