Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Eppure nell’anno Duemila
Città del Messico e i suoi abitanti
Saranno milioni e milioni
E milioni di amanti
Volenti o no…
(Gian Piero Alloisio, Città del Messico)
Gli 883 sono in un modo o nell’altro una costante di questa rubrica. Si era parlato di loro in riferimento al mitico film Jolly Blu ma anche per il fatto che Paola e Chiara erano state per un periodo componenti del gruppo. E poi c’era Metal Carter che, come dimenticarlo, si considerava un “Max Pezzali con un teschio sul collo”.
Inoltre, negli ultimi due fotoromanzi abbiamo parlato di un video tratto dall’ultimo album degli 883 e di un altro targato Mauro Repetto, ex componente del gruppo. Ci sembra giusto allora parlare anche del periodo glorioso di questa band, con un video che rappresenti il perché del loro grande successo in Italia e del loro ricordo così indelebile anche a distanza di tanti anni. E non possiamo che farlo richiamando in cattedra ancora una volta il maestro Stefano Salvati, un altro dei grandi protagonisti di questa rubrica.
Infatti, qualche anno dopo aver fatto esordire Angelina Jolie, il nostro è ancora attivissimo nel continente americano. E nel 1993 decide di dirigere Max Pezzali e Mauro Repetto in una memorabile scorribanda messicana, nel segno delle scoppiettanti trombe che danno il ritmo a una delle loro canzoni più celebri.
Il Messico nella canzone italiana è stato spesso presente o in chiave “rivoluzionaria” o proprio come nel caso di Nord Sud Ovest Est nella ricerca di un amore più o meno perduto, più o meno cercato. Nel primo caso ci basta citare il video di Frankie Hi-Nrg Mc per la canzone Rivoluzione (anche lui volto già noto nella nostra rubrica, sia come cantante che come regista di videoclip) per capire quanto sia immediata anche per il pubblico italiano la referenza a quell’epoca della storia messicana.
E poi c’è Vasco Rossi che parla di Messico in due delle sue canzoni più amate, ne fa solo un accenno eppure il “mito messicano” sembra essere la chiave principale d’interpretazione sia di T’immagini che di Vado al massimo. Anche qui il Messico è giocato in chiave rivoluzionaria, seppur in una “rivoluzione alla Vasco”, contro il sistema, al di là del sistema, in prospettiva di una nuova sistemazione personale tra fantasia e una vita senza limiti.
Per quanto riguarda invece il filone “della canzone d’amore’ la più celebre è, ovviamente, Messico e nuvole di Jannacci, a partire dalla quale nasce anche il suo contraltare Nuvole senza Messico, forse il singolo più conosciuto di Giorgio Canali. Senza dimenticare una delle più belle canzoni italiane mai scritte, firmata Gian Piero Alloisio (già collaboratore di Guccini per l’album Parnassius Guccinii) e intitolata Città del Messico. Canzone purtroppo quasi del tutto sconosciuta, tanto che l’unica traccia che si trova sul web è in questo video di Telenova Ragusa, dove è preceduta da una pubblicità della Amplifon. Si parla di amanti, della loro moltiplicazione, di un’eterna “morale dell’amore” che pur nei cambi radicali della nostra società sarà per sempre la base di tutto.
D’altronde i Mariachi di Guadalajara e quello spirito messicano avevano saputo affascinare il Re in persona. Infatti Elvis nel 1964 si trova nel bel mezzo di una festa messicana nella sua interpretazione di un marinaio in L’idolo di Acapulco (1964). Ed è proprio questo clima, più che festivo potremmo dire alcolico, alla base anche del video di Salvati.
Perché la cultura messicana si basa in fondo su questa eterna spirale : amore, disperazione, festa, alcol. Un mito nato dalla musica e dalle personalità di José Alfredo Jiménez e Chavela Vargas, otre che dalla commedia ranchera che ha fatto la storia del cinema messicano negli anni ’40 e ’50, soprattutto nella figura del più grande regista messicano dell’epoca Emilio Fernandéz, che tra un film e l’altro “posò” pure per la statuetta dell’Oscar (e che, in perfetto stile americano, non venne mai ufficialmente riconosciuto per non dovergli pagare i diritti, un po’ come accadde per il logo Nba con Jerry West).
E così, a suon alcol e musica, vediamo ballare in tutto il suo splendore Mauro Repetto e cantare Max Pezzali. Nella terra che affascinò e diventò la dimora principale di Luis Buñuel, nel cuore di quel Messico nel quale cercò la morte il Gringo Viejo/Ambrose Bierce di Carlos Fuentes e del quale Octavio Paz parlò con tanto amore e profonda tristezza in El laberinto de la soledad.
Alla ricerca di un amore perduto, come quello maldito di Vicente Fernandéz, tra trombe e fiumi di birra e tequila. Amore e tensioni magiche, come quando Max prova pure con uno Sciamano (che poi di messicano ha poco, però conta il pensiero), e corse senza fine e senza una vera propria direzione. Un delirio di suoni ed emozioni, nella terra più surrealista che ci sia, tra religione ancestrale e miti eterni. Rischiando di perdersi in un llano en llamas, per dirla alla Juan Rulfo, con l’adrenalina sufficiente per non aver paura di nulla. Nemmeno dei morti, che nella loro celebrazione vedono uno dei massimi riti messicani (come è ben visibile in tutto il suo splendore in Que viva Mexico! di Ejzenstejn). E forse quel che si cerca neanche c’é…