Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Sembra che l’invenzione degli scacchi sia legata a un fatto di sangue.
Narra infatti una leggenda che quando il gioco fu presentato per la prima volta a corte il sultano volle premiare l’oscuro inventore esaudendo ogni suo desiderio. Questi chiese per sé un compenso apparentemente modesto, di avere cioè tanto grano quanto poteva risultare da una semplice addizione: un chicco sulla prima delle sessantaquattro caselle, due chicchi sulla seconda, quattro sulla terza, e così via…
Ma quando il sultano, che aveva in un primo tempo accettato di buon grado, si rese conto che a soddisfare una simile richiesta non sarebbero bastati i granai del suo regno, e forse neppure quelli di tutta la Terra, per togliersi dall’imbarazzo stimò opportuno mozzargli la testa.
Così iniziava La variante di Lüneburg, il primo romanzo di Paolo Maurensig del 1993. E così, forse, iniziava la storia degli scacchi. Una storia fatta di strategie, di eroi e antieroi – come ci ha insegnato Reuben Fine nel suo La psicologia del giocatore di scacchi – e di tanti aneddoti.
Uno tra i più belli, seppure non tra i più conosciuti, riguarda il campione sovietico Kasparov e la sua doppia sfida contro il computer Deep Blue. Kasparov vinse la prima del 1996 e l’anno successivo perse contro una versione aggiornata dello stesso computer. In questo secondo confronto Deep Blue, verso la fine della prima parte dell’incontro, fece un colpo audace andando a sacrificare una delle sue pedine, mentre fino a quel punto il suo gioco si basava su una semplice risposta ai colpi di Kasparov.
Questa mossa sorprendente diede l’impressione al campione russo che la macchina potesse attuare una precisa strategia che poi però non seguì: fu una trappola ben orchestrata alla quale Kasparov cascò. Di fatto, però, questo colpo tanto diverso dall’usuale gioco del computer non fu altro che il risultato di un bug del sistema. Il programma era stato creato per risolvere fino a duecento milioni di posizioni al secondo ma non per poterne sceglierne una totalmente fuori dai suoi schemi. Ecco allora che fu un errore, un bug appunto, che fece muovere quella pedina sacrificandola e cambiando totalmente il corso della partita.
Tra leggende e aneddoti, il gioco degli scacchi arrivò soprattutto negli anni Sessanta e Settanta ad essere molto popolare. Se oggi conoscere il nome del campione mondiale in carica è qualcosa di nicchia, in quegli anni era diventata una questione che andava ben al di là della passione per questa disciplina. Un mondo del tutto diverso, dove gli scacchi potevano essere al centro delle tensioni internazionali, con gli scacchisti protagonisti a loro modo della stessa Guerra fredda.
Dal 1937 al 2000 il campione mondiale in carica è sempre stato sovietico, tranne tra il 1972 al 1975 dove il titolo è stato nelle mani di un americano. Bobby Fischer nel 1972 riesce nell’impresa impossibile di strappare il titolo ai sovietici, diventando così un eroe nazionale. La sua pazzia non gli consentirà poi di giocare ancora a quei livelli e perderà il titolo nel 1975, rifiutandosi di giocare la nuova sfida.
Non giocherà una partita ufficiale in pubblico per quasi vent’anni e, malgrado la sua assenza dalle competizioni e le sue ripetute uscite antisemite e misogine, rimarrà nel ricordo di molti come uno dei più grandi campioni mai esistiti. Uno scacchista folle come il simbolo di un periodo storico, emblema e strumento della propaganda americana contro il nemico comunista.
Ed è proprio questo il contesto del videoclip di Come deve andare. I Manetti Bros s’inventano una fantomatica finale per l’assegnazione del titolo mondiale tra i due sovietici Kolosimo e Kedrov (nomi creati per assonanza ai tanti campioni russi dai nomi che iniziano per “K” come Karpov, Kasparov e Kramnik) e l’ambientano a Roma, nel dicembre del 1967.
Quello che emerge è che il più grande scacchista della storia è Max Pezzali. Infatti sarà lui, in versione uomo delle pulizie, a scoprire la mossa vincente da suggerire al “finalista più sfigato” (il “Peugeot” che sta affrontando il “Fifty nero” per utilizzare la sua metafora). Una volta trovata la vincente “mossa del cavallo”, cerca il modo migliore per poterla comunicare. Prova a segnarla per terra, poi con delle sedie e infine trova la più pratica soluzione delle lampadine nell’ascensore. Ed è così che lo sfavorito Kolosimo riesce a battere Kedrov e diventare il nuovo campione.
La canzone è uno dei quattro singoli estratti da Uno in più, il sesto e ultimo album in studio degli 883. Infatti, dopo una serie di concerti, Max Pezzali decide di abbandonare per sempre questo marchio storico e di firmare i successivi lavori a partire dal 2003 semplicemente con il suo nome.
Per tutti e quattro i singoli di questo album vengono realizzati dei videoclip, tutti firmati Manetti Bros. Oltre a Come deve andare, ci sono i due “video americani” di Bella Vera e La lunga estate caldissima e l’ultimo video, testamentario e nostalgico sull’avventura degli 883, da cui prende nome lo stesso album Uno in più.
Se Uno in più appare come un testamento, Come deve andare sembra essere la giustificazione della fine del marchio 883. Come sempre le metafore dei testi degli 883 sono semplici e legate alla vita quotidiana di una generazione, e proprio questo modo di scrivere ha fatto la fortuna di Pezzali. Questa volta sono il ricordo di un Peugeot e di un Fifty nero, nell’età della ragione, il motivo di un cambio di rotta, il saluto finale al proprio passato per poter guardare in avanti.