Un giovane si aggira fra delle riproduzioni di pianeti che possono ricordare i programmi di divulgazione scientifica di Carl Sagan. È El Guincho, artista canario e giovane promessa dell’indie spagnolo: in un breve monologo introduttivo, ci parla del cosmo e ci invita a un viaggio attraverso di esso e della sua storia a bordo «della nave dell’immaginazione». Mentre il monologo prosegue fuori campo, lo vediamo in un prato approcciare una strana fionda da cui sparerà una musicassetta.
Così comincia il videoclip di Bombay, di cui proprio in questi giorni ricorre il decennale. Un videoclip all’epoca folgorante che, con il suo ritmo sorprendente e la quantità di situazioni fulminee e disorientanti che proponeva, permise a una piccola e sconosciuta casa di produzione di Barcellona di marcare per sempre la storia del videoclip.
CANADA – UNA BREVE STORIA
Nel 2008 tre registi spagnoli – Luis Cervero, Nicolas Mendez e Lope Serrano – fondano la propria casa di produzione, la battezzano CANADA (tre sillabe per tre persone simili, con la lettera A in comune, ma anche diverse fra loro, come le consonanti C/N/D) e sognano di ottenere maggiore controllo creativo nei propri lavori pubblicitari e di svecchiare l’appannato mondo videomusicale spagnolo che accusavano di scarso coraggio.
I tre amici, appassionati cinefili e registi in rampa di lancio, congiungono gli sforzi e mettono in piedi la propria casa di produzione, servendosi solo dell’aiuto della giovanissima produttrice Alba Barneda, che nel 2008 era in pratica solo una neolaureata. Attenzione: CANADA non è mai stato, tecnicamente parlando, un collettivo. Solo le regie pubblicitarie sono state firmate come CANADA, mentre i videoclip hanno sempre avuto una firma personale, in quanto concepiti come il lavoro autoriale di uno dei tre registi.
In principio la carriera dei tre prosegue senza scossoni, secondo i percorsi personali gia tracciati prima dell’esperienza imprenditoriale collettiva. Nel corso del 2009 producono solo due videoclip: 9.6 per La Bien Querida, con regia di Cerveró e il fidato Marc Gomez del Moral alla direzione della fotografia, mentre Mendez e Serrano si occupano degli effetti di rotoscopia che animano la parte finale del video; Siento que muero per Joe Crepuscolo è invece un vorticoso montaggio ricco di effetti video analogici, sempre diretto da Cerveró, questa volta assieme ad Ana Ibanez Lario, co-prodotto da Nanouk, con Oscar Romagosa nella veste produttore esecutivo. Romagosa entrerà poi in pianta stabile a CANADA a partire dal 2010.
2010 in cui il ritmo produttivo cambia decisamente con ben nove regie e dieci produzioni per quanto riguarda i videoclip. Si tratta ancora di brani in mano a etichette indipendenti nazionali. Tutti eccetto uno: Bombay di El Guincho, che si trova infatti sotto l’etichetta indipendente britannica Young Turks. Per molti aspetti – il budget molto basso su tutti – questa produzione non segna di per sé una rottura con le esperienze precedenti, ma la presenza di un’etichetta internazionale fece pensare ai nostri che poteva aprirsi una porta verso altri paesi, che questo video poteva essere visto molto di più rispetto ai lavori precedenti, convincendoli cosi a investire in proprio tutti i (pochi) soldi a disposizione, esponendosi economicamente. O la va, o la spacca.
BOMBAY – IL VIDEOCLIP
Girato durante un torrido agosto catalano, con un dispendio di energie e una dedizione totale, Bombay è un lavoro quasi “famigliare”, dove i membri della crew figurano anche fra i membri del cast, in cui gli amici sono chiamati a raccolta per supportare un folle progetto diretto in questo caso da Mendez, che in fase di lavorazione definiva il video come «psicotropico, caleidoscopico ed epicolirico».
In effetti risulta difficile sintetizzare meglio quel grande calderone di citazioni, allusioni, istantanee, tette e follie che è Bombay. Un saggio di montaggio surrealista, dove si illude lo spettatore di una trama – tanto che originariamente il video venne annunciato come il trailer di un lungometraggio -, ma dove in realtà il nesso di causalità è solo una delle opzioni percorribili per mettere in ordine le sequenze. In questo viaggio nel cosmo le logiche associative procedono eterogenee e parallele le une alle altre.
Questo viaggio nel cosmo, ci ammoniva El Guincho in apertura, è anche però un viaggio al nostro interno. Non siamo quindi solo a bordo della nave dell’immaginazione, ma anche quella dei ricordi, del subconscio: un viaggio che attraversa in pochi frenetici battiti pulsioni sessuali e rimozioni e in cui gli incubi dell’infanzia e dell’adolescenza rivivono affianco a scene di neotribalismo e citazioni pruriginose.
Se da questo punto di vista il video propone uno sguardo prettamente maschile, vi è al suo interno anche una critica di ciò che questo sguardo porta con sé: vengono mostrate apertamente delle scene di violenza di genere oltre ad altri quadri, più ambigui nella lettura, che possono fare pensare a una critica di tipo femminista (la casa come luogo di oppressione: il piatto di minestra sopra la testa; il pacco di asciugamani in precario equilibrio sopra la spalla; le uova rotte sulla testa). E i tanto ricercati nudi femminili sono di corpi ribelli, donne amazzoni che mitra in mano prendono il controllo della situazione; donne che se si spogliano, lo fanno per gridare al mondo la libertà dei loro corpi.
I vari tentativi di lettura crollano però di fronte alla quantità di stimoli offerti. Nel promo troviamo ancora parodie di videoarte, frammenti di corti mai girati, frammenti di quelli che sembrano filmati di Jackass, un pianista con un buffo sacchetto in testa e così via. Emerge distintamente la sensazione che il videoclip resisterebbe anche alle griglie più ampie dell’analisi più rigorosa: è la logica dell’affastellamento, del feticismo delle immagini à la Tumblr (e una leggenda urbana vuole che il video non sia altro che il saccheggio di un Tumblr di un artista barcellonese). Postmodernismo al cubo.
Ma la somma dei frammenti è in fondo anche la logica dei campionamenti, del sampling. Del resto tutto in Bombay muove e parte dalla musica: lo sparo della musicassetta (che ironicamente è anche l’oggetto da promuovere, da vendere) dà letteralmente il là alla canzone, con una musa completamente dorata che avvia il nastro trasportandoci su questo strano ottovolante di suggestioni per poi porre fine alla riproduzione al termine della canzone.
Allo stesso tempo il montaggio viene disegnato sul beat incalzante del brano e una delle figure ricorrenti non a caso è proprio quella del Guincho intento a catturare suoni, a campionare frammenti di vita da poi ricongiungere armonicamente nella canzone, esattamente come fa il montaggio con i frammenti di storie e situazioni. Entrambi i percorsi, musicale e visivo, portano dentro di sé le possibili combinazioni fra questi questi frammenti, lasciando libero spazio tanto alle connessioni coerenti, quanto alle contraddizioni.
Un viaggio nel cosmo e un viaggio dentro di noi, dicevamo. Ma soprattutto dunque un viaggio dentro la canzone: Bombay è videoclip concettuale e metariflessivo; Bombay è la ricerca sinestetica di un surrealista anarchico per il quale la musica è un’esperienza psicotropica e il videoclip è ingegneria inversa del trip. Il nonsenso diventa allora essenziale e strategico: lasciare aperta l’interpretazione diventa l’unico modo per lasciare lo spettatore libero di farsi attraversare dall’esperienza della visione, facendo sì che sia egli a costruire tramite l’analisi e il replay la propria unica esperienza, il proprio montaggio, il proprio viaggio.
LA SVOLTA DI UNA CARRIERA
Il successo virale del videoclip va al di là dei meri numeri – le visualizzazioni non saranno mai tante sul tubo -, poiché è soprattutto su Vimeo, la piattaforma dedicata ai professionisti dell’audiovisivo, dove il video appare senza censure, che il promo spopola aprendo agli spagnoli contatti Oltremanica e Oltreoceano: «fu un po’ come nei film», raccontò Romagosa, «venne postato su Vimeo e il telefono cominciò a squillare».
Mentre la loro estetica cominciava ad essere saccheggiata, ai CANADA iniziano ad arrivare commissioni da artisti internazionali: Scissor Sisters, Two Doors Cinema Club e, soprattutto, Battles. È per la band newyorkese che CANADA produce un’altra pietra miliare del videoclip degli anni Dieci. Questa volta sarà Cerveró a dirigere: Ice Cream è nettamente marcato dal suo approccio rigoroso e a tratti schematico, per cui riduce il titolo ai minimi termini visivi – il triangolo del cono gelato, il cerchio della pallina di gelato – ovviamente non senza ricondurlo sul territorio surrealista e sessuale, sintetizzando il tutto con la più bella sovrimpressione del XXI secolo.
Un video (non riuscitissimo) per i Justice, i premi agli UKMVA, il Vimeo’s Video of The Year sanciscono il definitivo successo dei «conoisseurs of cool», come li definì brillantemente David Knight. Il livello delle produzioni pubblicitarie s’innalza e si diradano le sortite nel campo videomusicale; si amplia il roster di registi rappresentati; si aprono uffici a Londra; si incorporano elementi di esperienza nel management; arrivano i soldi, tanti soldi. E con questi anche gli attriti.
Nel 2014, Cerveró esce da CANADA, mentre Romagosa prende il suo posto a livello societario e l’azienda subisce una sorta di rifondazione simbolica. Cerveró prosegue la sua attività registica con altre case di produzioni firmando spot pubblicitari e videoclip per artisti internazionali come Liars, Pharell Williams e Ratatat per poi fondare la sua casa di produzione “O” che con audacia tenta di scardinare le logiche di profitto proponendosi addirittura come rivista (tantissimi i contributi interessanti che vi si potevano trovare, fra cui una mitica’intervista dello stesso Cerveró a Roman Coppola, ma purtroppo il sito orignale è andato offline). Anche questo sogno va però in frantumi: dopo vari rimpasti, la chiusura della rivista e nonostante altre “normalizzazioni”, la casa di produzione chiude i battenti nel 2019 confluendo in buona parte dentro Object & Animal.
Canada invece ha proseguito la sua corsa, tanto come casa di produzione, che como duo registico – Mendez e Serrano –, ma senza oggettivamente ripetersi ai livelli di quegli exploit del periodo 2010-11. Quei lavori poveri di budget, a loro modo sporchi e imperfetti, ma assai più liberi, più aperti alle interpretazioni, più sorprendenti e più folli dei pur spettacolari e inappuntabili lavori degli ultimi anni.