Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Si è fatto un gran parlare tutta l’estate della riapertura delle discoteche. Che hanno riaperto. E poi hanno richiuso. E poi si è ammalato pure Briatore. Il discorso allora è diventato di dominio pubblico, con il solito moltiplicarsi di esperti e opinionisti che tutto sanno e niente dicono. Tante le teorie, diverse le strategie, sempre molto poco il buon senso.
Eppure bastava andare indietro nel tempo, dare uno sguardo alla videografia italiana per trovare una soluzione facile facile a tutto questo. Erano sufficienti solo due piccoli trucchetti: un furgoncino in continuo movimento e uno spazio di “un centinaio di Km”. E per quelli che si contagiano c’è il particolare che da questa discoteca labirinto “non si possa uscire”.
Il videoclip di Discolabirinto rappresenta a suo modo qualcosa di davvero singolare. Nella presentazione ufficiale per la stampa si parla con modestia di “un progetto artistico senza precedenti, coinvolge il campo sociale, con interesse scientifico e culturale; è il primo prodotto del genere mai sviluppato al mondo e segnerà un nuovo standard multimediale.” Ovviamente, a vent’anni di distanza, le cose non sono proprio andate in quella direzione, ma di certo è interessante l’averci pensato.
In realtà questo “progetto zerovolume” viene presentato nell’incipit del video in maniera abbastanza ironica, scherzando soprattutto sulla scientificità programmatica di certe ricerche che spesso vengono sopravvalutate. Eppure non sembra affatto una brutta idea quella di aver voluto creare per ogni suono un’immagine e delle vibrazioni e aver accompagnato il cantato con dei sottotitoli e una traduzione in linguaggio dei segni.
Allo stesso tempo abbiamo così una canzone ascoltabile per i sordi e un modo per provare a “vedere la musica”. Una nuova dimensione – e “nuova ossessione” – che i Subsonica e i Bluvertigo cercano di rendere il più possibile percepibile nella sua ontologica complessità. Lo stesso commento in inglese è fatto appositamente come «tentativo di inserire una piccola DIFFICOLTA’ nella comprensione anche per chi CI SENTE: serve, almeno nelle mie intenzioni, a suggerire differenti CODICI di comunicazione. Chi non conosce l’inglese ha difficoltà di comprensione di quel particolare codice tanto quanto una PERSONA SORDA», afferma il regista nel comunicato stampa.
Il regista di questo video-esperimento è Luca Pastore, nome dietro a diversi videoclip italiani e collaboratore di lunga data dei Subsonica. Oltre che essere regista di diverse documentari di ambito musicale, tra cui I dischi del sole e soprattutto Freakbeat che segue il mitico Freak Antoni alla ricerca di una fantomatica registrazione dell’Equipe 84 con Jimi Hendrix.
In Discolabirinto è alle prese con un’idea altrettanto folle da dover filmare. Il prologo dimostra la sua esperienza nell’ambito del documentario, sapendo sapientemente muoversi tra descrizione e narrazione, tra il mostrare e il far intuire. La presentazione delle band è naturale conseguenza della presentazione dei nuovi strumenti video-musicali e la stessa musica viene introdotta pian piano con un crescendo ritmico e melodico.
Ecco allora nascere un brano musicale a “zerovolume”, con un video anch’esso che può essere visto senza suono. Un paradosso per quanto riguarda il mondo dei videoclip, nati appositamente per dare delle immagini a delle canzoni, a dei suoni. E allo stesso tempo la conferma delle potenzialità dei videoclip che vanno ben al di là dell’associazione e spesso, com’è in parte per questo Discolabirinto, al di là della narrazione.
Videoclip come esperimento di visione, da un modo per immaginare la musica a un tentativo di vederla, di sentirla a un livello diverso. Non più un semplice “promo”, spesso usato come sinonimo di videoclip musicale, ma il mezzo preferito per una comunicazione alternativa.