Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Quante volte abbiamo sentito parlare di una possibile Terza Guerra Mondiale? Durante la guerra fredda era all’ordine del giorno, poi il muro è caduto e abbiamo visto passare l’attentato dell’undici settembre alle Torri Gemelle, varie guerre nei Paesi islamici che avrebbero potuto arrivare a una guerra di più grande portata, un’altra serie di attentanti a partire da quel tredici novembre del 2015 a Parigi. Tante volte ne abbiamo sentito parlare, ma quante volte ne abbiamo davvero sentito l’odore così vicino, quante volte ci è capitato davvero di avere una paura che vada al di là della paranoia e della teoria del complotto? Perché sì, lo si è detto e profetizzato tante volte, ma mai come in questo momento siamo dentro a qualcosa di paragonabile a una guerra di portata mondiale, che riguarda tutti. Non più uomini contro uomini, ma qualcosa di esterno, invisibile e che sembra sia difficilmente arrestabile.
Ancora una volta, come per il primo capitolo di questa trilogia dedicata ai videoclip storici che possiamo mettere in relazione con il nostro caro virus, lo scenario è apocalittico. Che più apocalittico non si può: un Mondo distrutto, che poi tornerà a splendere ma che comunque prima sarà distrutto. La canzone è uno dei classici della musica italiana, scritta da un giovanissimo Francesco Guccini e portata al successo dai Nomadi, rivive più di trent’anni dopo con la cover dei CSI. Il Consorzio Suonatori Indipendenti nato esso stesso da una distruzione, dalle ceneri di quello che è stato senza dubbio il più importate gruppo musicale italiano degli anni ’80.
I CCCP non avevamo mai avuto davvero interesse per il videoclip, lo avevano abbozzato con Noia e Annarella, ma senza sforzarsi più di tanto. Eppure il loro forte interesse per la performance faceva già intravedere il loro potenziale anche nell’abito del video. Così, una volta rinati come CSI realizzano diversi videoclip, tra cui quello di Cupe Vampe che rappresenta concretamente uno scenario da guerra, quella Sarajevo che fu al centro della Guerra dei Balcani. Ma il video più interessante arriva proprio nel momento della nuova distruzione, la loro fine dichiarata con questa inedita cover di Guccini e l’uscita di un album doppio che celebra la loro decennale esistenza. Il tutto prima di rivivere per un ultima volta sotto forma di PGR, ma il buon Giovanni Lindo Ferretti si era ormai già completamente perduto nel suo lato oscuro dal quale non sembra proprio aver mai voluto riprendersi…
Quella di Noi non ci saremo non è la la prima cover del gruppo e probabilmente non la più riuscita, ma i livelli raggiunti in passato nella rivisitazione musicale sia come CCCP che come CSI erano davvero difficili da ripetere. La scelta della canzone è di certo legata alla voglia di chiudere in bellezza con un titolo che più esplicito non può essere, ma allo stesso tempo sembra la maniera perfetta per iniziare il nuovo millennio: non dimenticare il proprio passato e ricordare che nulla può essere immortale.
Il videoclip nasce quindi da un progetto davvero suggestivo: celebrare l’imminente fine del gruppo, una futura assenza. Proprio per questo i componenti dei CSI vivono solo di riflesso, sono pupazzi e fotografie, sono come dei souvenir della memoria, non sono mai presenti fisicamente. La celebrazione, questo ultimo spettacolo, è uno spettacolo da pre-cinema, una lanterna magica e delle ombre come fantasmi di un pubblico che fu.
Il maestro della messa in scena non si sveglia e il suo giovane allievo è costretto a far tutto da solo, la sua prima volta, erede di una tradizione che non finisce con un sonno troppo lungo, con la morte del fuochista. Un ultimo spettacolo che non vive di nostalgia e che sfida i possibili eredi, lascia spazio a quello che inesorabilmente dovrà accadere. Nello scorrere delle foto, anche il ricordo di quello che era stato ancora prima con i CCCP, quell’uomo (reincarnazione del maestro fuochista sonnolente) vestito con una divisa vagamente sovietica che sembra voler ricordare ancora una volta che «la libertà è una forma di disciplina». E in quelle scale a chiocciola che si vedono all’inizio del video una suggestiva citazione a uno dei simboli dei primi Nomadi, quella conchiglia che è raffigurata anche nella copertina della raccolta del 1973 I Nomadi cantano Guccini.
La fine. Noi non ci saremo però ci siamo stati. Siamo stati prima di aver dovuto scomparire. Non c’è miglior modo di andarsene che poterlo fare serenamente, accettando quello che è stato e quello che sarà. Non c’è miglior modo di andarsene che con un ultimo spettacolo che ricordi a tutti quello che si è potuto fare. Nessun miglior modo di andarsene che farlo senza aver rimpianti e ricordando il passato per l’importanza che ha avuto, per l’unicità del suo non poter ritornare. Però, per il momento, è raccomandabile avere sempre a portata di mano una mascherina: è ancora presto per celebrare la nostra assenza.