Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Si parla ormai di una sola cosa. Un solo argomento ha invaso qualsiasi dibattito, pubblico o
privato che sia. Ogni inquietudine o speranza ci gira attorno, unica costante della
contemporaneità. Un virus, prima così lontano e adesso così dannatamente vicino, che sta
paralizzando qualsiasi cosa, mobilitando tutti in una paradossale quanto sentita ansia
apocalittica. Non potevamo allora non dedicare un po’ di spazio a questo gran casino che ci
vede tutti protagonisti e, sfruttando il sorprendente seppur alienante tempo libero che ci è
improvvisamente concesso, lo facciamo con una trilogia di videoclip a tema.
Che ora è,
scusa ma che ora è
Che non lo posso perdere
l’ultimo spettacolo
Il primo che analizziamo è il video di una canzone dal titolo decisamente emblematico: A che
ora è la fine del Mondo?, che riflette perfettamente questo nostro momento, con i contagi che
si moltiplicano e che non sembrano voler rallentare. Questa quotidiana incertezza che però
vuole delle risposte, paradossali rassicurazioni temporali per un popolo non più abituato a far
a meno delle proprie vacanze, delle uscite fuori porta, di quella vita sociale obbligatoria così
improvvisamente frenata. Ecco, si vuole sapere in che momento tutto questo finirà, a che ora
per essere più esatti.
La canzone è una cover con testo più modificato che tradotto del famoso brano dei R.E.M. del
1987. Il testo originale, che inizia con un deciso «That’s great», è una sinfonia per un Mondo
che sta inesorabilmente cambiando con il prossimo e ormai scontato tramontare della guerra
fredda. Sono sensazioni positive («It’s the end of the world as we know it and I feel fine») di
fronte allo sgretolarsi di qualcosa che sta per concludersi, senza chiedersi più di tanto quello
che sta arrivando… Un’apocalisse festosa in nome di un avvenire che farà tabula rasa del
passato. Anche se tutto si concluderà con una bomba nucleare (eterna costante della guerra
fredda) ci sarà finalmente del tempo per starsene un po’ da soli, forse per riflettere e non
ripetere gli stessi errori commessi («It’s the end of the world as we know it / It’s time I have
some time alone»).
Invece la canzone di Ligabue, e il videoclip di conseguenza, sembrano portarci in un altro
spazio-tempo, sia in rapporto al testo dei R.E.M che in particolare a quello che stiamo
vivendo in questi giorni. Non solo per quella ironia così difficile da trovare nella nostra
situazione attuale, ma anche nell’aspetto mediatico e locale di quel 1994 quando uscì questa
canzone. Ligabue si chiede su quale rete televisiva potrà godersi lo spettacolo della fine del
Mondo. E Francesco Fei (uno dei grandi nomi del videoclip italiano degli anni ’90) se lo
immagina come una sorta d’estrazione del Lotto, oppure come la festa di fine anno sulla RAI.
Ci parlano così di un mondo lontano, di un’esperienza locale per un fenomeno che dovrebbe
essere più grande (la fine del Mondo non può che essere globale). Ci parlano di quel clima da
telecrazia che fino a qualche anno fa era l’unica cifra o quasi della comunicazione mediatica.
Siamo nel 1994, l’anno in cui l’imperatore della televisione riesce nel giro di pochi di mesi a
creare un partito politico e vincere le elezioni, oltre che tenere poi quel potere per quasi
vent’anni. La televisione è il luogo di ogni cosa, la televisione è dove tutto succede, dove tutto
può essere visto. La fine del Mondo è uno spettacolo televisivo, deve per forza di cose passare
per quel tipo di media.
Destra, sinistra,
su, giù, centro
Fine del Mondo
con palle in giramento
Che chi è fuori è fuori
e chi è dentro è dentro
E fuori TV non sei niente
Molto lontano da quello che invece succede oggi. Lo spazio in gioco è uno spazio globale e
non locale e soprattutto il luogo dell’informazione non è più (solo) la televisione. Il primo
virus dell’epoca globale è senza dubbio anche il primo virus dell’epoca social, con i tempi dei
social. Governanti e uomini di spettacolo comunicano attraverso facebook e twitter, in pochi
giorni si passa dal timore al terrore, tutto scorre veloce e amplificato, niente può essere più di
tanto controllato e qualsiasi teoria rimbalza senza controllo.
Probabilmente anche quel clima da eterno spettacolo, così legato alla cultura televisiva tra
quiz a premi e siparietti del sabato sera, sembra essersi trasformato in qualcosa di più
complesso, variegato, difficile da decifrare. Un po’ come le malattie e le pandemie: non ci
sono più i virus di una volta…
A che ora è la fine del Mondo?
A che ora è la fine del Mondo?
A che ora è la fine del Mondo, che rete è?