Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
Le brutte intenzioni, la maleducazione
La tua brutta figura di ieri sera
La tua ingratitudine, la tua arroganza
Fai ciò che vuoi mettendo i piedi in testa
Ma tu sai solo coltivare invidia
Ringrazia il cielo sei su questo palco
Rispetta chi ti ci ha portato dentro
Ma questo sono io
Correva l’anno 1968 quando Sergio Endrigo vinceva il Festival di Sanremo con Canzone per te. L’anno delle contestazioni si apriva così con una canzone che solo di facciata sembrava la solita canzone melodica sanremese. Endrigo portava sul palco più importante per la canzone all’italiana un brano profondamente disilluso, di un esistenzialismo fuori moda nel nuovo mondo della contestazione e del progresso.
Endrigo cantava la fine di un amore e allo stesso tempo la fine di una purezza impura, di una delicatezza violenta che era stata la Storia italiana del dopoguerra. Qualcosa finiva, proprio nel momento in cui ci sembrava di aver iniziato un percorso verso qualcosa di migliore. E il Festival di Sanremo, forse pensando in un atto più reazionario che di pura consapevolezza sociale ed esistenziale, premia questa canzone come per far finta di stare al gioco del cambiamento, cercando di evitare l’inevitabile: il cantautorato poetico e di protesta avrà la meglio sulla canzonetta romantica della restaurazione democratica.
La festa appena cominciata
é già finita
Morgan nell’ambito della serata di Sanremo 2020 dedicata alle cover sceglie questa canzone e la “impone” al suo compagno Bugo. È finita come tutti sappiamo, tra stonature e imbarazzi, incomprensioni e insulti. Ma soprattutto con una delle performance più importanti della storia del festival. Morgan che cambia il testo della canzone in gara e Bugo che se ne va dal palco: non una ma ben due cose mai successe nei settant’anni del festival.
Atti d’insurrezione involontaria che esprimono tutta l’anarchica deriva del mondo contemporaneo. La follia ridicola che tutto permette e la contestazione nei luoghi della convenzione, dimenticando Michel Foucault e utilizzando lo stesso linguaggio del sistema: contro-performance nel festival della diretta, siparietto da ricordare nello spettacolo continuo della canzone popolar-borghese.
Un atto di situazionismo pop più di Morgan che Bugo, un pesce nel suo stagno, l’idolo ormai da anni della trasgressione da prima serata televisiva. Invece Bugo è un personaggio diverso, uno che accetta le regole senza patetiche prove di false ribellioni. Bugo è il cantante della disillusione di periferia, l’ironico menestrello della noia quotidiana della generazione post-ideologica. Per lui la festa appena finita non è mai davvero cominciata. Bugo non lotta contro il sistema, Bugo “si rompe i coglioni”.
Gente che ti aiuta a fare il nodo
Al cappio come me
Ma tu che sei prudente
Tieni in tasca le forbici nuove
Nel 2002 esce Dal lofai al cisei, l’album che fa conoscere a tutti Bugo. Il primo singolo estratto è Casalingo con un videoclip diretto da Andrea Caccia e tutto girato con una action cam nella casa in cui Bugo viveva all’epoca. Un videoclip di psichedelia casalinga con il quale il cantautore lombardo comincia a interessarsi anche alle immagini più appropriate da associare alle sue canzoni, per farle capire meglio, per dare un senso ancora maggiore al suo messaggio da “Beck delle risaie”, come spesso era chiamato a inizio carriera. Il video di Casalingo è molto semplice, diretto e decisamente low bugdet, ma diverse intuizioni sembrano preludere a quello che sarà in grado di fare negli anni successivi.
La nostra attenzione però, è su un altro videoclip, sempre uno dei primissimi realizzati (diretto ancora da Andrea Caccia) e per una canzone che fa sempre parte dell’album Dal lofai al cisei. Un manifesto per una generazione, uno sguardo lucido e ironico sulla vita di periferia, sulla mancanza di qualsiasi ideale o soluzione per uscire dalla noia del quotidiano.
Io mi rompo i coglioni ha anch’essa un videoclip semplice ma efficace tutto incentrato su Bugo che passa un’intera giornata solo in un Luna Park completamente vuoto. Un cassiere e una mano che inserisce una moneta ne “Il Bugo” di fine videoclip, sono le sole altre presenza umane di questa desolata valle triste in cui il cantante cerca, come può, di divertirsi sognando addirittura di essere il mitico GG Allin per avere “qualcosa da fare”.
La camera lo segue nella sua giornata alla giostre, tra grosse risate solitarie e momenti di malinconia al tramontar del Sole. Il tutto si chiude con Bugo diventato lui stesso parte di quel quel parco divertimenti, facendo quello che sa fare meglio, la sola cosa che può salvarlo dalla sua noia, dalla sua totale mancanza d’interesse verso le cose del mondo. Bugo diventa “Il Bugo” e come una macchina si mette a suonare e cantare, si erige a marchingegno di sorrisi e parole, la finta allegria necessaria alla sopravvivenza.
Quando mi butto giù
Non faccio le flessioni
Non guardo neanche la TV
Perché mi rompo i coglioni
E a noi piace ricordarlo così. Più del Bugo che va in scena nel festival della tradizione all’italiana, preferiamo quello che “non guarda neanche la TV”. Più del Bugo che si compromette con gente alla Morgan che “lo aiuta a fare il nodo al cappio”, preferiamo quello prudente che ha sempre “in tasca le forbici nuove”. E poi, diciamolo, il festival Sanremo, e non solo da quest’anno, ha proprio rotto i coglioni….
Io mi rompo i coglioni
Io mi rompo i coglioni
Io mi rompo i coglioni
Io mi rompo i coglioni
Io mi rompo i coglioni