Fotoromanzi – Il classico senza classicismo, una rubrica di Alberto Beltrame
La voglia di citazionismo di Ligabue nell’anno di grazia 1999 sembra avere il suo apice con il video di Almeno credo, dove cita lo storico videoclip ante-litteram di Subterranean Homesick Blues di Bob Dylan, incorporato all’interno del documentario Dont Look Back di Pennebaker del 1967.
Il videoclip di Ligabue riprende il famoso susseguirsi di cartelli che riportano i versi della canzone e, a suo modo, il cameo di Allen Ginsberg che per l’occasione è lasciato a una serie di personaggi più o meno noti del panorama culturale italiano (dalla Littizzetto fino a Fernanda Pivano, per tutti i gusti). E si conclude con un ultimo cartello che riporta la scritta “Thanks Bob”, per coloro che non avessero colto il riferimento al film di Pennebaker.
Nello stesso anno esce un altro video che trova nella referenza visiva a un’opera del passato la sua essenza. Questa volta non è un videoclip ma un cortometraggio, non girato negli Stati Uniti ma in Italia, sempre con lo sguardo rivolto agli anni ‘60. La citazione è ambiziosa e decisamente non scontata: La Ricotta di Pier Paolo Pasolini (1963). Pasolini ne La Ricotta riproponeva, attraverso la tecnica dei tableaux vivants, due quadri del manierismo italiano. Nella messa in scena venivano fatti rivivere, animandoli, la Deposizione di Cristo di Rosso Fiorentino e il Trasporto di Cristo al sepolcro di Pontormo.
Nel video della canzone Metti in circolo il tuo amore di Ligabue si cita proprio questo piccolo gioiello pasoliniano, sia nell’idea del mettere in scena la “creazione” sia nella citazione precisa di uno dei due quadri presi in considerazione da Pasolini, ovvero quello del Pontormo. Vengono citati più quadri del rinascimento italiano, da un Caravaggio fino alla ben più scontata Ultima Cena leonardiana, ma il Pontormo è centrale proprio per rimarcare con evidenza la referenza a Pasolini (anche se qui manca il cartello con scritto “Thanks Pier Paolo”…).
Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle Chiese,
dalle pale d’altare, dai borghi
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Questo ci fa pensare in qualche modo allo statuto stesso di Ligabue all’interno della musica italiana. Almeno quello che lui creda sia il suo ruolo, la sua posizione. Di certo un cantautore originale a cui non manca però quel gusto manierista nei confronti della musica cantautorale che lo ha preceduto. Non un caso se chiama Francesco Guccini a interpretare il ruolo di Mario nel suo Radiofreccia, non un caso se poco dopo scrivono una canzone assieme (Ho ancora la forza, uscita la prima volta nell’album di Guccini Stagioni del 2000).
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io sussisto, per privilegio d’anagrafe,
dall’orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
Ma più che il solo vate pavanese, il riferimento culturale di Ligabue sembra essere l’intera generazione di cantaurori che lo hanno preceduto, la generazione mitica che aveva cominciato negli anni ’60. E, guarda caso, sia il videoclip di Almeno Credo che quello di Metti in circolo il tuo amore si rifanno a due opere uscite negli anni ’60. Come Pontormo ossessionato tutta la vita dalla figura inarrivabile di Michelangelo, pure Ligabue sembra ossessionato dalla generazione precedente, uno spirito manierista che trova nei suoi videoclip la sua concretizzazione.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno d’ogni moderno
a cercare i fratelli che non sono più.