Con tipo trentanni di ritardo il cinema italiano scopre i “videoclippari”. È notizia degli ultimi mesi che Francesco Lettieri e gli YouNuts! hanno due film pronti per essere distribuiti via Netflix. Comunque vada, sarà un successo. O meglio, comunque vada questo è un sintomo di un’industria miracolosamente in salute, pur nei suoi limiti – che denunciamo in pratica da quando abbiamo aperto il sito: budget insufficienti, scarsa cultura videomusicale, miopia produttiva calata dall’alto (leggi etichette musicali, major e non).
Ebbene sì, nonostante tutto questo il videoclip italiano se la passa discretamente bene. Un giudizio questo, che va letto in chiave “storica”: il videoclip italiano ha tendenzialmente sempre fatto pietà. Ora semplicemente fa un po’ meno pietà. Come sempre la stragrande maggioranza delle produzioni si situano tra la comicità involontaria e l’imbarazzo (vale lo stesso per l’estero, solo che per la legge dei grandi numeri dal resto del mondo arrivano molti ottimi prodotti), però ci sono diversi nomi e case di produzioni che si stanno facendo notare con lavori sempre più pregevoli, curati e originali.
Già, le case di produzione. Vogliamo citarne almeno due: Borotalco.tv che ha ormai sfondato la porta del mainstream, lavorando con grossissimi calibri, ma tra una produzione e l’altra – nessuno sa il numero esatto, nemmeno loro probabilmente – sta portando avanti politiche autoriali coraggiose (si pensi ad Enea Colombi, ad esempio) e sta spingendo per un ritorno alla pellicola (un merito, questo, a prescindere dagli esiti un po’ incerti dei primi lavori pubblicati); poi c’è Maestro, sempre capace di produrre lavori di livello cinematografico, talvolta anche con una granduer che diremmo hollywoodiana, spesso combinando spettacolarità e autorialità in modo non banale.
Indubbiamente le ragioni di questa crescita vanno ricercate anche nell’evoluzione recente del mercato discografico nazionale. Da un lato troviamo l’esponenziale evoluzione della scena rap prima e trap poi che, in una sorta di escalation inarrestabile di nuovi trapper che spuntano come funghi, finisce per obbligare ad evolvere il discorso stilistico (anche se con mooooooolta fatica). Questo vale soprattutto per gli artisti più navigati, costretti a stupire anche sul piano visivo/spettacolare per rimanere on top of the game e difendersi dalle nuove leve. Però è giusto far notare che anche chi sta facendo gavetta, alle volte tenta nuove strade: si vedano ad esempio i lavori del duo Paky-Davide Vicari che non ho messo in classifica, ma non avrebbero affatto sfigurato.
Dall’altro versante troviamo invece il calderone dell’it-pop. Se musicalmente possiamo criticare quanto vogliamo questo nuovo filone dell’indie nostrano, dall’altro è innegabile che l’appetibiltà commerciale del genere ha costretto etichette e artisti a curare maggiormente gli aspetti della comunicazione visiva, videoclip incluso, ritrovandosi poi a disposizione anche maggiore mezzi economici. I risultati sono stati alterni, ma il livello medio si è indubbiamente alzato.
E questo è dovuto soprattutto all’emergere di una interessante generazione di creativi. In apertura citavo Francesco Lettieri, forse il caso più eclatante, il cui team produttivo ha realizzato nuovi lavori quest’anno con la regia di Francesco Coppola, ma non possiamo dimenticare i Bendo, fra le firme più prolifiche, affidabili e riconoscibili, così come i Trilathera o gli immarcescibili Ground’s Oranges giusto per citarne alcuni.
Vi sono poi i cani sciolti, artisti da uno-due videoclip all’anno o poco più, talvolta autoprodotti, altre volte capitati lì un po’ per caso tra un fashion film e l’altro. Ne esce un quadro inevitabilmente variopinto e sfaccettato, ma anche la riprova di un settore in fermento e vivo, capace di raccontare il presente attraverso intuizioni visive audaci o affrontando con tagli anche molto originali i temi sociali più importanti. L’obiettivo di questa classifica è di riuscire almeno in parte a restituire una fotografia di questa scena.