Fotoromanzi – Il classico senza classicismo. Una rubrica di Alberto Beltrame
In una rubrica che ha già visto passare registi importanti come Antonioni e Polanski, non possiamo dimenticare un’altra figura fondamentale del videoclip degli anni ’80: Loredana Berté. Lei stessa, infatti, dirige il videoclip de Il mare d’inverno con la stoffa del grande regista. Non sembri esagerata l’affermazione, stiamo pur sempre parlando del contesto del videoclip nell’Italia di questi anni.
E così, tra un tennista e un altro, Loredana poté sperimentare non solo a livello canoro ma anche nell’ambito dell’estetica video. Ci sono tratti di “antonionismo”, ma solo in superficie. É vero che si inizia vedendo il “film in bianco e nero alla Tv”, che a un certo punto ci sono “manifesti sbiaditi” ben visibili o che il “caffè cercato” viene sbattuto con tutta evidenza a terra. Però ci sono pure tantissime idee decisamente interessanti. O, almeno, ci sono delle invettive che scaturiscono da un progetto di racconto, certamente legato al testo della canzone ma che comunque riesce a trovare la sua indipendenza. Non scade così nella ridicola e pedissequa descrizione delle parole, e trova un margine visivo su cui sperimentare una narrazione.
Il testo, come del resto pure la musica, scritto da Enrico Ruggeri si presta molto bene alla creazione di un immaginario poetico. Nostalgia, tristezza e una certa rabbia che si sposa alla perfezione con la grintosa voce della cantante calabrese. A partire dal già citato “film in bianco e nero visto alla Tv”, che é il pretesto di base per girare il videoclip stesso. Tutto comincia dall’idea del rappresentare in immagini il “poco moderno”, attraverso la Berté stessa che moderna non é mai stata. Non lo é mai stata almeno nel contesto italiano, in quanto sempre alla ricerca prima dell’avanguardismo punk e succesivamente nel corso della sua carriera dell’egocentrismo pop.
Il mare d’inverno
é un concetto che il pensiero non considera
é poco moderno
É qualcosa che nessuno mai desidera
E poi il vento. Un vento che non solo agita la Berté ma che detta il ritmo a tutto il video. Il vento é la costante tra un immagine e un’altra. Il vento conduce il montaggio e dinamizza ogni capitolo del videoclip. Il vento, poi, fa danzare la cantante sulla riva del mare, in estasi, in piena e compiaciuta auto-celebrazione. Loredana é inebriata di malinconica sensualità, solitaria bellezza incantata. Loredana come paradigma dell’attesa. In attesa del turismo che arriverà con l’arrivo dell’estate, gli “ombrelloni che si apriranno” e le “discoteche piene di bugie”. La fredda consapevolezza della bellezza, di una bellezza che svanirà nel brusio vacanziero. La bellezza della malinconia, dell’abbandono che contrasta la falsa vita moderna, gli anni ’80 che inesorabili apriranno anche in Italia le porte all’abbondanza consumistica. Il dolce rumore della solitudine e del freddo che conduce al silenzio, il fischio di un vento che attraversa il tempo per delimitare lo spazio nostalgico: dove non c’é più nessuno che viene a farti compagnia.
Un video e una canzone, quindi, non trascurabili nella storia del videoclip italiano di quel decennio. Ci si potrebbe domandare allora dove e quando la Berté possa aver sviluppato l’interesse per la cultura dell’immagine video. E da questa domanda scaturisce una sorpresa. Infatti, andando indietro di qualche anno possiamo trovare un altro video della Berté che non ci puo lasciare di certo indifferenti. Siamo nel 1981, la canzone é Movie e alla regia del video c’é Don Munroe. Un nome forse non molto noto ma che faceva parte di un mondo assai particolare: la Factory warholiana. Ed é proprio così, un video della Berté prodotto da Andy Warhol in persona. (to be continued…)