Matilda Finn dirige il nuovo video di Apparat, Heroist. Sei minuti di spasmi ed estasi, in un video enigmatico, fantascientifico e surreale che, nell’incedere irrequieto del brano porta alla vertigine. Il tutto si apre con una citazione da George Orwell tratta da Senza un soldo a Parigi e a Londra:
E’ la sensazione di sollievo, quasi di piacere, che dà il sapersi, infine, veramente allo stremo. Tante volte si è parlato di andare in rovina; ed ora eccola qui la rovina, ci si è arrivati e si è in grado di sopportarla. E questo elimina un sacco di angosce
«Questo video», ha dichiarato la regista, «riguarda la ricerca di illuminazione e significato da parte degli uomini. L’ironia è che questo di solito si trova nei nostri punti più oscuri. Spesso – prosegue Finn – cerchiamo di correre e nasconderci dalle difficoltà e dalle sfide. Ma se le affronti e le accetti, puoi crescere. Questa è la strana dualità della vita; dalle tenebre viene la luce».
«You have talked so often of going to the dogs»
Going to the dogs è un espressione inglese che indica peggioramento, perdita di speranza, appunto «andare in rovina» come puntualmente riporta la traduzione italiana del libro di Orwell, o ancora “toccare il fondo”, potremmo dire, ricollegandoci in qualche modo alle parole di Matilda Finn.
La clip letteralizza questo modo di dire, presentando come primo personaggio un uomo rasato, dall’espressione determinata nel volto, portare tre cani al guinzaglio, che è una vera e propria catena.
Dopo questa fugace presentazione – che rifugge ogni totale stabilendo da subito una programmatica indeterminatezza del racconto – entriamo in un territorio propriamente surreale: il personaggio apre una porta in uno spazio di buio assoluto, dove l’unico squarcio di luce illumina un altro personaggio maschile dal capo rasato: sono la stessa persona. Questi si contorce in uno spasmo, un attacco epilettico che produce un doppio sogno.
«It takes off a lot of anxiety»
Toccare il fondo libera dalle angosce, ci dice Orwell. E ansiogena è buona parte di questa nuova traccia di Apparat, con le sue ritmiche quasi drum’n’bass su cui Finn innesta le sequenze più ampie del promo, in un racconto che procede per scatti fotografici, messi in fila rapidamente per lasciare allo spettatore solo la sensazione che qualcosa stia accadendo ad un gruppo di persone: prendono pillole e perdono i sensi, passano dalla felicità alla disperazione.
Solo un’analisi alla moviola, frame by frame, ci permette di isolare momenti e azioni e fare così luce su quanto ci viene mostrato. Tutto comincia da uno schermo televisivo, che rimanda una bocca aprirsi per prendere una pillola rossa (impossibile non pensare a The Matrix). Alla televisione parla una giornalista, mentre sullo schermo dietro di lei un gruppo di persone è alle prese con una strana terapia new age. Le scritte in sovrimpressione riportano di un fantomatico studio su antiche tecniche di meditazione e trascendenza.
È a questo punto che ritroviamo il primo personaggio: è lui che sta guardando quello show alla televisione, davanti alla vetrina di un negozio che vende vecchi televisori a tubo catodico, videocamere e sistemi di sorveglianza (a). In rapida successione troviamo poi una fittizia immagine pubblicitaria – «Not dead! Merely meditating» recita una scritta, mentre sullo sfondo un mostro argenteo veste un saio arancione da monaco buddista (b) -, e una carrellata di immagini sul gruppo di meditazione e alcuni momenti di serenità e felicità degli stessi (c).
Dopodiché ritorniamo sul protagonista: è all’interno di un bar con l’espressione disperata. In una rapidissima sequenza sogno, realtà e allucinazione iniziano a confondersi: dapprima lo vediamo guardare con sorpresa la fetta di torta gelatinosa e trasparente che ha davanti (a), successivamente la sua soggettiva ci mostra invece il volantino di un incontro pubblico sul tema del sogno («Are you asleep or awake?» recita il titolo) (b), subito dopo, il nostro taglia un pezzo di torta per poterla mangiare (c).
Nel bar, che potrebbe riportare alla mente alcune scene di Mullholand Dr., il nostro non era solo. È qui infatti che fa la sua comparsa un misterioso personaggio dal sorriso inquietante sempre stampato in faccia, presentando inoltre vistose cicatrici tutte intorno al volto – come se si fosse “incollato” il volto di qualcun altro – e un’altra molto vistosa all’altezza del torace.
Quest’uomo sorridente ritorna più volte nel video, quasi sempre accompagnando il personaggio principale, comparendo e scomparendo attorno a lui e assumendo i connotati della proiezione mentale. Lo ritroviamo anche in solitaria in un frame, dove assume la posa del Narciso.
Successivamente, durante una seduta di meditazione collettiva, troviamo il nostro protagonista parteciparvi. Ora però qualcosa è cambiato in lui e il suo volto reca vistose cicatrici, diverse ma non troppo da quelle del misterioso personaggio sorridente.
Per circa un’altra quarantina di secondi, il videoclip insiste sul gruppo di meditazione e la sua ricerca della felicità – una nuova immagine “pubblicitaria” appare recando la scritta “fast track to nirvana – e si susseguono pillole rosse mandate giù e brevi momenti di estasi, seguite da lacrime e disperazione, come a dire che questo metodo o terapia che dir si voglia funziona solo per un breve periodo, causando una sorta di dipendenza ai personaggi.
A quel punto il brano vive un momento di pausa, e così anche il racconto, che ritorna sulla stanza buia dove il protagonista, sempre in preda agli spasmi, viene accudito da alcune figure femminili. È qui che vediamo l’altro sogno, stavolta in bianco e nero – forse a segnalare uno strato ancora più profondo del subconscio – dove il protagonista è in fuga dai cani in un bosco.
Nella seconda sessione fatta di fotografie intermittenti, invece, vengono introdotti nuovi personaggi e tematiche. In una scena dal sapore cronemberghiano il protagonista è steso al suolo mentre un suo doppio lo osserva da dentro lo schermo televisivo; membri del gruppo di meditazione intraprendono sessioni in coppia, dove entra in gioco anche l’erotismo – in particolare una scena simil-bondage dove al posto delle corde troviamo cavi elettrici -; una ragazza si fa dei selfie mentre dallo smartphone esce una mano a darle dell’uva. Poi di soppiatto, quasi impercettibile ad una prima visione, appare anche uno smartphone ormai scaricato nell’atto di infrangersi sul pavimento.
Queste due ultime immagini sono slegate dalla narrazione, e intervengono per una sorta di effetto Kulešov ad ampliare la portata del racconto dal tema esistenziale (insoddisfazione personale, ricerca della felicità) a quello sociale (l’ossessione per i social media e la cura della propria immagine – quante volte vediamo i personaggi con delle bande al volto, come a voler modificare/controllare la propria immagine? E cosa rappresenta l’uva se non le endorfine prodotte dai like e dai follow?).
Il video prosegue poi sui binari già tracciati, ripetendo addirittura alcuni frame e in un certo senso intere sequenze (pillole rosse e pianti a gogò), proponendo però anche nuovi esperimenti, attentamente osservati da due personaggi che prendono nota.
«And well, here are the dogs»
Il sogno a colori non trova soluzione, le nuove tecniche di meditazione non funzionano, le droghe e le tecnologie non bastano. Ci vogliono i cani, evidentemente, e questi li ritroviamo nell’ultima sezione del brano e del video. Con la fine della seconda strofa, ritorniamo infatti sugli spasmi del protagonista in bianco e nero e il sogno in cui viene inseguito nel bosco.
Infine, dopo una corsa disperata, il protagonista viene raggiunto ed è costretto ad affrontare i pastori tedeschi. Proprio quando viene morso a più riprese, anziché vederlo soffrire e perire, ci viene mostrato il suo volto in un’espressione di pura estasi e piacere.
«As this moment rose the dream is gone»
Al termine di questa sequenza i cani se ne vanno quasi con la coda fra le gambe, mentre al protagonista si placano gli spasmi e si risveglia sputando. Negli ultimissimi frammenti lo rivediamo come solo all’inizio del video: il passo sicuro, i cani al guinzaglio.
Heroist parla quindi di un viaggio di andata e ritorno verso le paure più profonde e recondite dell’animo umano, in un’intricata struttura narrativa che, se ad una visione “normale” si propone di lavorare a livello subliminale, lanciando messaggi fulminanti che dovrebbero arrivare lì nel territorio subconscio in cui “si svolge” buona parte del racconto, dall’altro invita apertamente all’analisi minuziosa, quasi talmudica dei suoi dettagli.
E infatti anche a fronte di un già ampio articolo, la sensazione è che ci sia ancora molto da sviscerare, tanta è la cura di questo lavoro e la forza suggestiva delle sue immagini, nonché l’universalità del suo messaggio che. Si potrebbe ripartire da capo, soffermandosi sul contrasto dei paesaggio urbani e della campagna, o magari andando a ricercare riferimenti e citazioni oppure ancora ribaltando la soglia tra veglia e sogno qui proposta. In ultima istanza, si tratta di un video che non ci stancheremo di rivedere ancora e ancora.