L’indie italiano scopre il video-album. Dopo il video di Jacopo Farina per il singolo d’esordio (Muse), La Malanoche di Francesco De Leo viene interamente illustrato da Michele Catalano e Pierluca Zanda di 148 Produzioni Audiovisive. Lungo gli otto capitoli – più che altro sette tessere di un mosaico che si ricompongono nell’ultimo capitolo, Caracas – una piccola strana storia viene scomposta sul piano temporale.
Protagonista della vicenda è il personaggio interpretato da Ibrahim Keshk, vittima sacrificale di una comunità di giovani emigrati. Armato di una piccola handycam, filma la sua morte e la manda in onda in una sorta di mondovisione (Mylena). La registrazione ottiene dapprima un grande seguito, ma gli spettatori ben presto perdono interesse, abbandonando gli schermi su cui si staglia desolato il volto privo di vita di Keshk.
Se nell’azione il racconto è scarno, i registi e la produttrice/sceneggiatrice Lara Limongelli ne aprono il respiro lavorando sui piani temporali e i punti di vista. La vicenda è infatti suddivisa in due parti: la prima in reverse, che comincia appunto con la morte del protagonista e procede a ritroso, la seconda, più tradizionale, che segue la quotidianità della comunità. Le due traiettorie si congiungeranno prima dell’ultimo capitolo.
A queste immagini, si affianca poi il footage realizzato dal protagonista, che dovrebbe assolvere alla funzione catartica del sacrificio: al centro del video-album vi è infatti la relazione apparentemente invisibile tra la comunità di emigrati, costretta in un rifugio di fortuna (un capannone abbandonato a Latina), e gli autoctoni, spettatori non troppo interessati nelle loro comode case.
La Malanoche diventa così non solo un’esplorazione dello squilibrio tra minoranze e cultura dominante – la piccola comunità, costretta in una condizione di povertà, che sacrifica un membro sull’altare di una vaga e illusoria libertà -, ma anche una riflessione sullo stato dell’immagine contemporanea che, moltiplicata all’infinito da schermi onnipresenti, perde completamente di valore, lasciando gli spettatori indifferenti nonostante la tragicità del filmato.
Ciò che rimane sono allora alcune immagini pubblicitarie, rielaborate attraverso dei glitch, che attraversano l’opera spesso in modo improvviso. Sono come frammenti di inconscio collettivo, di un sogno illusorio, che riaffiora quasi fosse il motore della vicenda: un benessere mitico, la falsa promessa che rappresenta l’orizzonte dei personaggi.
Un video album disilluso, di un pessimismo più serioso rispetto alla musica dream pop di De Leo, ma dove affiorano però tutti gli elementi disposti da Catalano e Zanda: la società multietnica, la tossicità, l’immaginario televisivo-pubblicitario anni ’80-’90. Coerente dunque anche la coda conclusiva, dove in una ripresa di fortuna si vede una cornacchia cibarsi di un malcapitato piccione.
In conclusione, La Malanoche è un lavoro che si distacca per originalità, ambizione e complessità. È un’operazione insolita, esteticamente contundente e piuttosto lontana dagli stilemi audiovisivi che investono l’It Pop, che non avrebbe sfigurerato come installazione video-artistica. Per questo ne lodiamo il coraggio e speriamo ottenga la visibilità che merita.