di Michele Bruttomesso (illustratore)
Il 2017 ha confermato ancora una volta quanto il videoclip sia un campo da gioco con cui animatori, illustratori e designer amano confrontarsi. Il minutaggio serrato, la possibilità di giocare con ritmi e colori, l’esposizione ad un audience “altra” e spesso molto più vasta del proprio pubblico di appartenenza…gli stimoli per affrontare questo tipo di progetti, spesso estremamente impegnativi, di certo non mancano. Più che fare una classifica con i miei preferiti, quindi, ho ampliato lo sguardo, prendendo nota degli highlight e delle tendenze più rilevanti, delle strade più battute quanto degli scenari più innovativi, per cercare di tracciare un quadro d’insieme più interessante.
Proviamo a partire dall’animazione “classica”. Quello che da molti è stato giudicato (a ragione) il miglior video dell’anno gioca proprio con l’idea di rappresentazione “classica”, e lo fa su molteplici livelli di lettura, ricalcando gli stereotipi razzisti dei cartoon di inizio ‘900 per muovere una feroce accusa all’America di oggi (o meglio, di sempre). In The story of O.J., Jay-Z, assieme al regista Mark Romanek e al team di talenti di The Mill, dice la sua in quello che è diventato uno dei temi centrali della cultura occidentale tutta.
Un video e un pezzo che pesano come macigni. Se ha senso parlare di rilevanza (se non sociale, almeno pop) del videoclip in un epoca in cui MTV trasmette solo reality show, è innegabile che i contributi più rilevanti degli ultimi tempi ruotino attorno a questo tipo di questioni (tralasciando i video disegnati, penso a Kendrick Lamar, all’impatto di Lemonade di Beyoncé, o al recente mini-film di Kamasi Washington).Se per rilevanza intendiamo invece la capacità di intercettare la direzione tecnologica del proprio tempo, questo è stato l’anno in cui gli esperimenti con la Realtà Virtuale hanno finalmente cominciato a dare frutti interessanti. Più di qualcuno si è cimentato con questo tipo di innovazione, ma il video che ha avuto più risonanza è stato sicuramente Saturnz Barz dei Gorillaz. Il video è diretto ovviamente da Jamie Hawlett, colui che da quindici anni a questa parte progetta e disegna l’intero immaginario visivo della band. Coadiuvato dai Passion Animation Studios di Londra, Hawlett ha saputo mischiare la CG con l’animazione 2D classica in un video in cui lo spettatore può immergersi a 360 gradi.
Il video mi ha colpito soprattutto perché a differenza di altri esperimenti ha una componente narrativa forte, che non a caso si sta rivelando la vera chiave di volta per questo tipo di applicazioni della VR.Un’altro video che ha sfruttato in maniera intelligente le nuove possibilità di interazione con l’utente è stato Stained Glass dei Real Estate (potete provarlo qui ):
Craig Allen della Wieden + Kennedy ha detto ad It’s Nice That che voleva dirigere un video «che la band potesse creare con i fan piuttosto che per questi ultimi», ed il risultato è eccellente: l’esperienza di colorare il video nel suo divenire è super divertente, e dopo 4 minuti scarsi ci si ritrova con il proprio video personalizzato. Il mix di linea chiara e colori sgargianti rimanda subito a Yellow Submarine (o, se preferite, Heinz Edelmann), e si sposa benissimo con le vibes BeachBoys-iane del quintetto, rimarcando quanto gli stilemi anni Sessanta siano ancora un calderone da cui pescare a piene mani, in un gioco di specchi tra retromanie musicali e visive.
E non parlo solo di mainstream: uno dei miei video preferiti di quest’anno è Grant Green, pezzo di Mr Jukes (ex-Bombay Bicycle Club) con il grande Charles Bradley, diretto da Anna Ginsburg e Parallel Teeth (due nomi decisamente “caldi” del panorama inglese).
Stilisticamente, questo video rispecchia una delle tendenze estetiche più chiare e definite nell’illustrazione di oggi: un caleidoscopio di parrucchieri surreali, labbra voluttuose ed acidi, in cui le evidenti influenze 60s si piegano alla sensibilità contemporanea.Anche in Italia, fortunatamente, c’è chi prova a parlare la lingua dei nostri giorni, come Aloha Project nel video di Superman per i Belize, in cui Il giovanissimo illustratore ha creato un collage post-intenettiano che sfida lo spettatore a riconoscere più citazioni pop possibili.
Ma si può parlare dell’oggi anche senza rimandi visivi contemporanei: nel video per Super Star Struck dei Frank Moody, Crack Stevens immagina una «working black mother, performing socialist miracles for the people of London while carrying her child on her back».
Stevens, alle prese con la sua prima esperienza come animatore dopo una serie di girati per grosse case di moda come Kenzo, riesce a mettere in pratica perfettamente la formula magica del video animato (che poi è, per estensione, una massima di Milton Glaser): musica e immagini raccontano la stessa storia da punti di vista diversi, ampliandone in sintonia il significato.
Visto che abbiamo già parlato di Parallel Teeth, vi faccio vedere un altro video che ha realizzato quest’anno, per I’m Easy di Merk:
Unire girato ed animazione non è di certo un’idea nuova (qualcuno ha detto Roger Rabbit?), ma è innegabile come la collisione tra realtà fotografica e disegno sia diventata un meccanismo con cui ci piace comunicare, basti pensare alle decine di stickers che aggiungiamo alle nostre Instagram Stories. Un meccanismo che abbiamo ritrovato anche in territori più mainstream con il video di That’s What I Like di Bruno Mars (diretto da Jonathan Lia), ma con risultati molto meno interessanti.
Anche altri approcci all’animazione già codificati, ma meno legati al disegno o all’illustrazione, hanno dato vita a progetti notevoli. Il video-collage, ad esempio, è diventato oramai una strada facilissima da percorrere per chiunque abbia uno smartphone a disposizione, ma solo con un’immaginazione rigogliosa come quella di Flying Lotus e del fidato collaboratore visuale Winston Hacking si può partorire un video che fonde vecchie pubblicità cartacee ed immagini d’insetti in modo così spassoso.
Così come i video con la plastilina in stop-motion davvero buoni rimangono appannaggio di pochi: il nuovo lavoro dell’asso Chris Hopewell per Things It Would Have Been Helpful To know Before the Revolution di Father John Misty forse non raggiunge i livelli del suo precedente video per i Radiohead, ma la giustapposizione di immagini, musica e messaggio è magistrale.
Una menzione speciale, però, va fatta ad un lyric video da 94 milioni di visualizzazioni:
Il lavoro di ODD per la canzone di Taylor Swift non si rifà ad alcuna corrente estetica contemporanea e non parla di emoji né di stickers. È invece un grande omaggio a Saul Bass, al quale, come teorizza Claire Blaustein sul blog dell’AIGA, «forse dobbiamo l’esistenza stessa del lyric video, perché per primo utilizzò pionieristicamente la tipografia dinamica per trascinare lo spettatore dentro la storia».Ecco l’ennesima conferma del 2017: i buoni maestri non invecchiano mai.