Se nel 2017 non fai un videoclip di quattordici minuti, non sei nessuno. Meglio ancora se il brano vero e proprio dura poco più di un minuto e si tratta di un estratto. Un estratto da ends, il brano con cui si apre il disco di Travis Scott, Bird in the Trap Sing McKnight e dal quale questo corto attinge per le musiche (sono citate anche sweet sweet e coordinate). Comunque, dicevamo, 14 minuti. Meglio ancora se diretti da Fleur Fortune, metà del duo Fleur&Manu che ha segnato indelebilmente la videomusica degli ultimi anni – si pensi soprattutto alla doppietta per Gesaffelstein Pursuit e Hate or Glory.
Il corto è diviso in due macroparti e ruota attorno ad un incidente automobilistico che riduce il rapper statunitense in fin di vita. La prima metà si divide tra le interviste in stile televisivo – Fortune utilizza qui un filtro video piuttosto retrò e low-fi – e una parte narrativa, retta da un lungo piano sequenza di cinque minuti. Scelta azzeccata: il naturalismo e la quotidianità della scena non solo dispone diverse tematiche (dalla vita nei quartieri neri, alle problematiche legate all’ego e alle tendenze autodistruttive della star), ma riesce nell’intento di accrescere la tensione (sappiamo che qualcosa succederà, ma quando?). Una trovata sottile e di gran effetto, che conferma il talento della regista transalpina.
Il piano sequenza si risolve dunque, con l’incidente, ovviamente proposto con uno slow-mo spettacolare. Qui si apre la seconda parte del video: Scott viene portato in ospedale per essere operato d’urgenza, probabilmente finisce in coma e comincia un’esperienza extracorporea che ben presto entra in un territorio surreale, dove ricordi d’infanzia e ultimi momenti di vita si fondono. Questa parte è introdotta dalla voce-off di Scott che recita questo testo:
Dimness, my old brother
I can feel whispers flying over endless rain of meaningless chaos
Reality always exceed fiction
I can see an unborn generation
I can hear within the silence and see within the nothingness
Flashing neon lights trying to throw off and disturb my fucking judgment
Past, present, and future in a nonending circle
Hear my words of temptation and redemption
They made me believe I could escape
Remember this shit, remember me, the one who die here
It’s time to live
La parte conclusiva del video, ambientata tra edifici abbandonati, pericolanti e che crollano su stessi (ricordando un po’ l’inconscio à la Inception: come se Scott stesse appunto perdendo coscienza per sempre) è incorniciata da due salti nel vuoto da parte dell’artista, ora con il volto coperto da una suggestiva maschera metallica.
Il finale del video vede finalmente la riproduzione del brano: la scena a questo punto si è spostata nell’interno di uno dei palazzi abbandonati (ma sullo sfondo un altro androne ricorda un salone rococò: una citazione della stanza finale di 2001: Odissea nello spazio?); la scena dell’incidente è riproposta ricoperta di polvere, mentre tutto attorno i vari testimoni oculari o le figure importanti nella vita di Travis, come ad esempio la compagna, sono vestiti di bianco e guardano in camera.
Birds in the Trap è certamente un promo sui generis che, non va dimenticato, conclude il discorso promozionale di un album (il nuovo AstroWorld dovrebbe uscire nella seconda metà del 2017). Presenta una tale varietà di materiali e suggestioni che, anche cercando di ordinarlo come abbiamo fatto, continua a presentare elementi di difficile sistemazione (tutta la tematica della realtà virtuale, ad esempio) e si presta al fiorire di interpretazioni (guardare i commenti su YouTube per credere).
In primis, Birds in the Trap potrebbe sembrare una riflessione sul dualismo caso/destino: da un lato tutte le scelte e le casualità che puntellano il piano sequenza, dall’altro l’incidente finale, potremmo dire “inevitabile”. (Tematica, questa, che rieccheggia poi nel passaggio “nicceggiante” «past, present, and future in a nonending circle»). Ma c’è anche, ovviamente, un discorso personale incentrato sulla star e la sua persona: al di là del contenuto delle lyrics – come quasi sempre nel rap, autoreferenziali – si pensi a tutta la discussione in auto tra Scott e la sua ragazza.
Non va dimenticato, inoltre, che i videoclip spesso portano avanti un doppio discorso: da un lato il contrasto tra l’artista e la casa discografica (e qui, se si vuole evitare ogni delirio, quell’«illuminati» del testo va declinato come un riferimento ai piani alti dell’industria musicale e mediatica) e dall’altro la continua necessità di lavorare al brand dell’artista.
A questo punto, il salto nel vuoto conclusivo, il sucidio – qui in una chiave diversa, un po’ come se nel coma Scott decidesse volontariamente di non lottare per restare in vita – può rappresentare la conclusione nichilista di un percorso autodistruttivo, segnato da eccesso di ego e abuso di droghe. Ma è anche al tempo stesso un discorso commericale: la fine del vecchio Travis di Bird in the Trap, pronto a risorgere rebrandizzato nel prossimo album e col prossimo video.
Le vie interpretative di questo promo non si esaurisco no certo qui, anzi, siamo solo all’inizio. Ogni nuova visione offrirà nuovi spunti, mostrerà un vecchio elemento in una chiave differente, negherà la lettura precedente aprendone un’altra. E così ad libitum: è il videoclip, bellezza!