Mauro Russo con la sua casa di produzione Calibro 9 rappresenta la nuova frontiera del videomaker-imprenditore italiano. Portatore di un’estetica riconoscibile, decisamente più al passo dei tempi rispetto ai Morbioli e agli Alemà, inserisce le tradizionali performance delle star italiane in contesti dinamici, che rimangono ancorati al significato delle lyrics. In pratica, Russo ha rivitalizzato una formula stantia, facendosi così spazio nella “Serie A” del mainstream italiano, dove le views, per qualche ragione misteriosa, sono nell’ordine delle decine di milioni.
Questo video contiene in sè le caratteristiche principali dell’estetica-Calibro9. Si veda ad esempio la prima strofa, nella quale vediamo Fedez in 5 location diverse, cui se ne aggiunge un’altra con un’attrice. I raccordi digitali ci offrono in pratica un piano sequenza al sapore di After Effect (il fuoco finto non si può vedere, ma tralasciamo). Il dinamismo della messa in scena è poi esasperato dall’uso di props ed altri effetti speciali (esplosioni e quant’altro).
Fin qui può anche non piacere, è questione di gusti per carità, ma il video fa il suo. Nel proseguo, troviamo altre trovate apprezzabili, volte al compito non facile di armonizzare il contrasto tra le strofe rap e il cantato di Alessandra Amoroso. Queste si alternano però a ripetizioni stucchevoli, peggiorate da green screen poco convincenti e da un product placement semplicemente grossolano, sprezzante, tutt’altro che integrato con la perfomance.
Ne esce così un video indifendibile, dove una canzone sulle piccole cose che s’imparano ad apprezzare con l’età si riduce ad una sfilata di marchi. L’ultima parte, dopo l’inframezzo animato, vede il ripetersi di alcune location sommarsi a nuovi spunti totalmente fuori contesto (la bambina coi fazzolletti del brand; il camion dell’altro brand che si apre sull’universo) o poco credibili (il frigo che si apre, ancora, su un altro brand e porta alla stanza sotto-sopra con un J-Ax disperato che ricorda gli attori delle peggiori soap-opera).
L’unico modo che abbiamo per salvare questo video è fare esercizio di sovrainterpetazione. Tutto cambia, infatti, se cominciamo a considerare l’assenza quasi totale di stacchi convenzionali in un modo diverso. Come una sorta di reticolato, di gabbia e labirinto digitale dentro il quale le tre star sono inscatolate. Come se fossero in pratica ostaggi di questo strano mondo virtuale/mediatico dove tutto è sotto-sopra e la pubblicità perseguita gli esseri umani.
Possiamo così rivalutare la scena in cui J-Ax mima la sua disperazione, ma anche leggere il finale – Alessandra Amorosa incapsulata in una bolla dove gravitano gli oggetti dell’infanzia – non solo come un rimando alle piccole cose in stile Quarto Potere (l’orso pupazzo come la slitta Rosabellla; forse ho osato troppo con questo paragone…), ma anche come metafora della filter bubble prodotta dai social network. Quegli algoritmi, sintetizzando brutalmente, che partecipano alla costruzione di un’immagine della realtà non conflittuale, ad uso e consumo delle corporation che li hanno progettati.